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Minsk, tra «euforia» e «panico»

Minsk, tra «euforia» e «panico»Vladimir Putin

Ucraina Le reazioni all'accordo dei governi e i commenti dei media russi e ucraini

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Non è ancora entrato in vigore il cessate il fuoco, che già alcuni punti dell’accordo sottoscritto a Minsk vengono «interpretati». È il caso del punto 5, che prevede «la grazia e l’amnistia per fatti avvenuti nelle regioni di Dontesk e Lugansk». Ieri il ministro degli esteri di Kiev, Pavel Klimkin ha dichiarato che non ci sarà nessuna grazia per i leader delle milizie e l’amnistia verrà adottata esclusivamente nel quadro di una legge della Rada. Questo, mentre erano in corso aspri combattimenti tra carri armati nell’area di Mariupol e nella notte le artiglierie governative avevano fatto ancora vittime: tre bambini a Gorlovka, quattro adulti a Donetsk e quattro a Lugansk; una quindicina le persone ferite. Un altro bambino morto ad Artëmovsk, in territorio governativo.

In questo clima di attesa per ciò che avverrà alla mezzanotte di oggi (quando dovrebbe entrare in vigore la tregua) si guarda a quanto raggiunto a Minsk giovedì scorso. «Dal panico all’euforia», titolava ieri l’agenzia Novorossija, vicina alle milizie. Secondo l’ex direttore di Russkaja zhizn, Dmitrij Olshanskij, nel documento sottoscritto dai leader di Donetsk e di Lugansk non si parla «né di Novorossija, né di DNR e LNR. Solo di alcune aree, delle cui «particolarità» l’Ucraina ha promesso benevolmente di tener conto. È per questo che sono morti decine di migliaia di uomini, di miliziani, che hanno avuto la sfortuna di credere nella Federazione russa? Non ci sono parole». Da parte sua, l’editorialista di Odnako, Ivan Lizan: «Come farà Poroshenko a dare ordini alle truppe a Debaltsevo, se la maggior parte del corpo ufficiali è fuggita? Come faranno i soldati ucraini a tornare alla linea di demarcazione se sono nella sacca?

Insomma, la tregua è temporanea e sarà inevitabilmente violata. Essa non fa che confermare l’agonia del regime di Kiev e dell’Ucraina quale entità statuale».
Per lo speaker del parlamento di Donetsk Andrej Purghìn, il documento di Minsk è «il primo in cui il conflitto nel Donbass viene giudicato interno all’Europa e forse l’unico caso in cui gli Usa sono stati esclusi dalle decisioni. L’Europa si è decisa a intervenire in prima persona: è un avvenimento storico».

Una testimonianza su come parte dei russi sia convinta del peso di Mosca nel Donbass è espressa sulla Nezavisimaja gazeta da Aleksej Roschin, secondo il quale Putin avrebbe assentito alle trattative a causa delle grosse perdite subite: «L’esercito ucraino è possibile vincerlo, ma come disse Pirro, «ancora un’altra vittoria come questa e non avrò più un esercito». Per il sito d’opposizione Slon, se «per la Russia e la dirigenza della Novorossija dalla guerra non vengono che grossi affari, per l’Ucraina tutto ciò non è che un catastrofico suicidio».

Per lo scrittore Platon Besedin, su Vzgljad, «la pace nel Donbass era necessaria alla Russia più di ogni altra cosa. La continuazione della guerra rischiava di condurre l’economia russa in una critica zona di turbolenza, con la caduta del rublo, nuove sanzioni, che nessuna estrazione del petrolio – tanto meno ai prezzi attuali – avrebbe compensato».

Sul fronte ucraino, mentre il leader di Pravyj sektor Dmitrij Jarosh dichiara pubblicamente che il suo battaglione continuerà a combattere «nonostante Minsk», Facenews riporta le parole di Julja Timoshenko, secondo la quale «non voglio nemmeno pensare che questi accordi saranno violati. Bisogna crederci e lottare perché vengano attuati». Il cosacco Mikhail Gavriljuk, deputato dell’area di Jatsenjuk, all’opposto, non comprende «quali trattative possano farsi coi terroristi. Balleremo al suono dei pifferai terroristi?» dice, riferendosi alle milizie. Se Den riporta le parole dello stesso Poroshenko, secondo cui tuttora sussiste il rischio di escalation del conflitto, secondo Segodnia «politici e deputati ucraini sono convinti che il risultato chiave degli accordi di Minsk consiste nel fatto che, quantomeno, essi danno una speranza di pace. Ma è ancora presto per dire se questa verrà davvero».

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