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Minniti, la prima mossa: «Lega e M5S pari sono»

Minniti, la prima mossa: «Lega e M5S pari sono»Maurizio Martina, Matteo Renzi e Marco Minniti

Democrack/Primarie Pd Martina si dimette, al via il congresso. Renzi non lascia ma raddoppia: gioca su due tavoli per dimostrare che ha ancora la maggioranza nel partito

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 31 ottobre 2018

«Penso che dentro la coalizione – e dunque tra Lega e M5s – non vi sia né una “destra” e una “sinistra” né una parte politica da liberare da una prigionia inflitta da un’altra parte politica. Tra l’altro alimentare l’idea di una sorta di bipolarismo tra Lega e M5S rischia di essere una mossa autolesionista, perché da quel bipolarismo il Pd sarebbe escluso in partenza o quanto meno ridotto ad un ruolo del tutto subalterno». La prima mossa di Marco Minniti da quasi-candidato alle primarie Pd è replicare, via Democratica, l’house organ dem, a Nicola Zingaretti con uno dei must del renzi-pensiero: Lega e M5s pari sono. Qualche giorno fa in una intervista al Corriere il presidente del Lazio aveva definito i 5 stelle «complici e vittime» del disegno di Salvini. Nell’intervista Minniti lascia scivolare alcune perle per i palati ex Pci. La citazione di Ugo Pecchioli, come padre del binomio «democrazia e sicurezza», e un dotto ragionamento sui limiti del «riformismo dall’alto» di stampo dalemiano. Minniti non è ancora ufficialmente in corsa – si lancerà forse alla presentazione del suo libro «Sicurezza è libertà», il 6 novembre – ma è già in corso il lavorìo per convincere i (tanti) renziani dubbiosi sul suo conto. A loro garantisce che non proporrà «abiure» sulle riforme dell’ex leader.
Ex leader che, dal canto suo, ostenta disinteresse per il congresso. Ma le cose non starebbero così. Renzi non lascia, raddoppia. Ci sarebbe anche lui dietro la candidatura di Maurizio Martina, alla quale lavora da tempo Matteo Orfini.

Il senatore di Rignano gioca su due tavoli. Martina, da segretario uscente e ex ds, può togliere voti soprattutto al fin qui favorito Zingaretti nel confronto fra gli iscritti. Zingaretti potrebbe recuperare nel voto «aperto» dei gazebo, ma se non raggiungesse il 50% l’accordo fra Martina e Minniti, due diversamente renziani, sarebbe il più naturale. E sarebbe la dimostrazione che nel Pd è ancora Renzi a dare le carte.
Ieri intanto Martina si è dimesso con una lettera al presidente Orfini, cui spetta ora la convocazione dell’assemblea nazionale che aprirà ufficialmente il congresso. Martina ha proposto la data dell’11 novembre, ma con le date è sfortunato: ha convocato la manifestazione di Piazza del popolo a fine settembre nel giorno del derby romano, subito spostata; ha lanciato le primarie per il 27 gennaio, giorno della memoria, e anche lì ha dovuto scusarsi con la comunità ebraica e spostarle a febbraio. Stavolta nella data da lui prescelta non si sarebbe trovata una sala libera a Roma. Con ogni probabilità l’assemblea slitta a sabato 17. Spostamento peraltro utile ai renziani che per il 9 e 10 hanno convocato il loro seminario organizzativo a Salsomaggiore.

Minniti ringrazia il segretario uscente «per la generosità con cui ha svolto un compito tutt’altro che facile». Fin qui siamo alle formule di rito. Ma se Martina deciderà di correre è certo che l’ex ministro concentrerà le polemiche soprattutto su Zingaretti.

Il quale Zingaretti ieri è stato bersaglio di un inedito «fuoco amico» da parte di Leu. Il presidente del Lazio ha scritto su Huffington Post: «Se vogliamo essere credibili dopo dieci anni di sconfitte, ultima delle quali a Trento, dobbiamo cambiare». Nico Stumpo, uomo-macchina di Leu, gli ha risposto con puntiglio: «Caro Nicola, mentre si riflette su cosa c’è da cambiare, forse è meglio tenere d’occhio anche quello che non va buttato via. Perché abbiamo già visto dove porta questo errore, e dove portano la fretta e la superficialità». Segue elenco delle vittorie del Pd della Ditta, dal 2009 al 2013, dai comuni alle regioni. Si può archiviare l’episodio come una legittima rivendicazione dell’orgoglio bersaniano e della stagione più fortunata delle alleanze e del centrosinistra. Oppure come un segnale di interesse, a prescindere dal segretario che verrà, per la «lista aperta» che il Pd dispone per le europee. Ma sommata alla freddezza di Cuperlo e Orlando nei confronti di Zingaretti, la precisazione di Leu, per la propria parte, potrebbe essere anche un’altra spia del fatto che in questo congresso nessuno può dare nulla per scontato.

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