Mina Loy, coscienza femminile in stranezze lunari
Brunswick Usa, Bowdoin College Riscoperta dal femminismo anni ottanta come poetessa modernista già amata da Ezra Pound, Mina Loy si rivela ora artista singolare, nutritasi di vari spunti d’avanguardia di qua e di là dell’Oceano
Brunswick Usa, Bowdoin College Riscoperta dal femminismo anni ottanta come poetessa modernista già amata da Ezra Pound, Mina Loy si rivela ora artista singolare, nutritasi di vari spunti d’avanguardia di qua e di là dell’Oceano
A oltre sessant’anni dalla personale di Mina Loy organizzata per lei dall’amico Marcel Duchamp nel 1959 a New York, il Bowdoin College Museum of Art, a Brunswick, in Maine, rende omaggio all’arte di una delle figure femminili più affascinanti del modernismo con una eccellente mostra monografica (visitabile qui fino al 17 settembre, e poi all’Arts Club di Chicago).
La mostra, corredata di schede di approfondimento nel tour virtuale online, ripercorre l’attività artistica di una donna il cui ruolo centrale nella poesia del primo Novecento è stato riscoperto dalla critica femminista negli anni ottanta, riprendendo le fila di quello che Pound, Eliot e William Carlos Williams avevano detto della sua scrittura.«Chi altro c’è in America oltre a te, Bill (William, ndr) e Mina Loy capace di scrivere qualcosa d’interessante?», scrisse Pound a Marianne Moore nel 1921. L’interesse per i suoi versi, sensuali e cerebrali, è cresciuto negli anni uscendo dalle coterie poetiche per diventare addirittura pop grazie ai musicisti Thurston Moore e Billy Corgan che l’hanno celebrata nelle loro canzoni.
Non così per i suoi quadri, rimasti finora sepolti in collezioni private e dispersi nei luoghi dove Loy visse. Nata a Londra nel 1882, Loy inizia giovanissima la sua educazione artistica nelle città europee d’avanguardia, in fuga da un ambiente repressivo e bigotto e dalle convenzioni sociali dell’età vittoriana. A Monaco alla fine del secolo avvia la sua emancipazione di donna moderna nel mondo artistico e cosmopolita della città, eccentrica fra eccentrici, una pipa di terracotta in bocca e abbigliamenti stravaganti. Nel 1903 è a Parigi, allieva con Jules Pascin e Wyndham Lewis all’Accademia internazionale Colarossi, dove incontra il primo marito, Stephen Haweis, pittore-fotografo autore dei bellissimi ritratti della moglie che aprono l’esposizione al Bowdoin.
I dipinti post-simbolisti di quel periodo sono esposti nella prima delle otto sezioni della mostra, che prevede un percorso cronologico completato da un ricco spettro di documenti, disegni, foto, registrazioni e omaggi all’eclettica creatività dell’artista negli ambienti europei e americani che frequentava.
Fin dagli esordi, il suo occhio immaginativo trasforma scene quotidiane in qualcos’altro di strano che va oltre il reale, come avverte il sottotitolo della mostra ripreso da un suo saggio: Strangeness Is Inevitable, l’«inevitabile stranezza» che contraddistingue Loy. In L’Amour dorloté par le belles dames, del 1906, dei bagnanti vengono trasfigurati in una fantasiosa Pietà dove il Cristo è un Cupido ‘coccolato’ da una Madonna della Belle Époque e osservato con divertita curiosità da una moderna Maddalena con scialle e cappello e da due ‘belle’ signore alla destra del quadro. Una quarta, sguardo malinconico e distante, volta le spalle alla scena impreziosita dal giallo dell’ocra e dal marrone contrapposti al blu del mare sullo sfondo.
Con la stessa tecnica compone due acquerelli ispirati ai litorali toscani alla moda frequentati da Mina quando, dopo la morte della prima figlia e altre vicende personali, si trova a vivere a Firenze dal 1907 al 1916. In The Beach, una giovane donna sfida le convenzioni mostrando una gamba nuda su una spiaggia versiliana, lo sguardo rivolto agli spettatori, cappello e ombrellino di foggia ottocentesca posati lontano su una sedia.
Mi accompagna nella visita Roger L. Conover, il deus-ex-machina di tutta la vicenda editoriale e artistica di Mina Loy, curatore della sua poesia fin dal 1982, suo esecutore letterario e collezionista dei suoi quadri appassionatamente recuperati in Europa e in USA. La mostra, a cura di Jennifer Gross, non sarebbe stata possibile senza questa passione, nata in lui da studente, quando s’imbatté nell’unico libro di poesie curato personalmente da Loy nel 1923 dal titolo che offriva già allora una sintesi del suo percorso di donna e artista, Lunar Baedecker (errore ortografico incluso):un viaggio verso una nuova coscienza femminile guidata dalla luna, alter ego evanescente e mutevole di Loy, immagine della sua perpetua rigenerazione nella vita e nell’arte.
«La mia collezione, dice Conover, è nata nell’era pre-internet, è il risultato di ricerche e relazioni avendo avuto la fortuna d’incontrare persone che conoscevano Loy e avevano sue opere e documenti: Djuna Barnes, Beatrice Wood, Peggy Guggenheim, Julien Levy, le due figlie, ecc.»
Ma la fortuna non lo ha assistito nella ricerca dei quadri futuristi di Mina, il cui incontro con Marinetti e Papini a Firenze sveglia la sua vena poetica e la porta a esporre quattro opere ispirate al fondatore del movimento alla Galleria Sprovieri di Roma nel 1914. In mostra si trova solo il catalogo e materiali che testimoniano questa sua temporanea conversione al Futurismo, delle cui tecniche si appropria per scrivere manifesti, poesie e testi teatrali da contrapporre ai loro modelli maschili e femminili. Nelle teche troviamo anche testimonianza dell’incontro fiorentino con gli espatriati americani – Gertrude Stein, la stravagante Mabel Dodge, lo scrittore Carl Van Vechten –, che l’aggiornano sulle recenti teorie filosofiche e novità in arte e letteratura instillandole il desiderio di New York come unico luogo per un artista. Dove infatti arriva nel 1916, preceduta dai suoi versi e dalla sua reputazione di donna moderna, enigmatica e sfuggente, di straordinaria bellezza e raffinata intelligenza.
A New York Mina Loy completa la formazione artistica nei circoli di Alfred Stiglietz, Walter e Louise Arensberg e Alfred Kreymborg. Nasce l’amicizia con Duchamp, Man Ray, Williams, Beatrice Wood. Scrive, illustra riviste, crea lampade e abiti, recita coi Provincetown Players e incontra l’amatissimo Arthur Cravan, marito per pochi mesi misteriosamente scomparso al largo delle coste messicane.Tra gioie e dolori (la nascita della loro figlia e la morte del figlio avuto dal primo marito), riprende il suo nomadismo ed è di nuovo a Parigi fino al 1936, pittrice matura dallo stile inconfondibile.
Nelle sezioni centrali della mostra spicca la serie di dipinti monocromatici realizzati per la sua prima personale voluta a New York dal genero gallerista nel 1933: volti, mani e braccia di figure umanoidi prive di corpo emergono da un fondale azzurro in una dimensione fantastica e surreale. Angeli, maschere e apparizioni spettrali sono elementi lunari che fluttuano nell’etere. In Moons, due volti a forma di mezzaluna, frammenti di un globo infranto, interrogano la stringa di stelle che unisce le loro mani muovendo le lunghe dita in un misterioso rito divinatorio. Il mondo fantastico di Loy torna nei notturni Drift of Caos presentati qui per la prima volta: frammenti di statue, puttini volanti, evanescenti donne-farfalla o sirene emergono incorporee dall’acqua scura in combinazioni che sembrano anticipare le installazioni femministe di Louise Bourgeois.
Nell’ultima sezione i montaggi materici degli anni quanta e cinquanta testimoniano l’ulteriore radicale trasformazione nella sua opera e i suoi ultimi passaggi fra New York e Aspen dal 1936 alla morte nel 1966: assemblaggi di carta, stracci e detriti urbani raccontano i senzatetto della Bowery e la sua percezione della società consumistica. Nel collage Communal Cot (1949), titolo proveniente da una sua poesia, dieci figure di barboni rannicchiati in posizioni diverse per riscaldarsi sembrano cadute dal cielo su lastroni di un marciapiede di cartone. Christ on a Clothesline è la versione domestica della passione di un Cristo appeso al filo stendibiancheria su un terrazzo urbano, volto di carta, corpo e braccia di stracci, immagine surreale di un mondo di derelitti. In Prospector 2, faccia e mani di una stupita Gorgona sovrastano rottami metallici su un supporto che grottescamente ricorda una pala d’altare. In Nectar, materiale pubblicitario di recupero ironizza sull’omonima bibita effervescente con un richiamo ai readymade di Duchamp e anticipando i combine di Rauschenberg.
In mostra anche i molti autoritratti e i ritratti che lei faceva agli amici o che facevano a lei, come la foto scattata da Man Ray che Joseph Cornell mise dietro un vetro blu ricoprendola di schegge di specchi che rivelano e nascondono il volto di Mina. Vera perla è infine il breve filmato di Loy al Marché Aux Puces di Parigi nel 1923.
Ma la mostra, dice Conover, è in itinere perché continuano a riemergere opere anche grazie a questa esposizione. Certo, Loy si occupò poco della sua arte, negando d’essere poeta e negandosi alla mostra del ’39 dove andarono molti suoi amici fra cui Peggy Guggenheim, che acquistò Househunting, il collage esposto alla recente Biennale di Venezia: «Perché dovrei andarci?, disse Mina, io i quadri li ho già visti»
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