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Mimmo Lucano, le ragioni profonde di chi lo avversa

Riace Il sindaco dà fastidio soprattutto perché afferma la possibilità di un modello partecipativo al bene comune, reale ed efficace

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 25 ottobre 2018

È un errore credere che Mimmo Lucano costituisca un problema solo per Salvini, o solo per gli intolleranti. Così come è limitante soffermarsi sulla liceità dei rilievi critici mossi alle sue decisioni da amministratore del Comune e dello Sprar di Riace. Il dispositivo legale che lo allontana dalla sua comunità svela piuttosto la materia del vulnus democratico: la lotta simbolica che fa da perno all’alleanza – non più implicita e certamente inopportuna –  fra varie forme di potere, nazionali e locali.

Mimmo Lucano dà fastidio non soltanto perché ospita dei rifugiati, facendoli lavorare per il bene proprio e quello del suo Comune. Dà fastidio anche e soprattutto perché afferma la possibilità di un modello partecipativo al bene comune, reale ed efficace. Un esempio, quasi unico in Calabria, di privati che collaborano al bene pubblico, senza subire intermediazioni mafiose. Una forma di ristrutturazione delle architetture della convivenza che contrasta con gli aridi calanchi, i prati bruciati e gli scheletri di opere abusive che s’incontrano percorrendo la strada statale 106 jonica verso Riace e volgendo gli occhi al mare. Ma anche con quella religiosità popolare, estaticamente disperata, che a settembre celebra i santi Cosimo e Damiano, protettori di Riace. E che ricorda piuttosto le teorie di quel Tommaso Campanella che secoli prima scappò dalla vicina Stilo, quando il potere religioso e quello politico lo perseguirono a causa della sua concezione utopica. Chi, come chi scrive, ha vissuto in quelle terre sa come l’esempio di Mimmo Lucano contrasti nettamente con il modello sociale su cui si basano le ndrine e su cui si basa il successo della Lega anche in Calabria. Entrambi si avvalgono di un modello atomizzato di spazio pubblico, privatizzato fino all’osso, che impedisce la costituzione di legami sociali solidi alternativi. Uno scheletro di governance federalista di piccoli poteri locali connessi, che arrogano a sé il controllo degli affari pubblici.

Un modello che incontra opposizioni e resilienze, non solo a Riace, ma anche nella vicina Roccella Jonica, dove il tessuto associativo ha reso più appetibile la vita culturale e civica. A Gioiosa Jonica, dove lo Sprar ha fatto, al pari di Riace, un ottimo lavoro negli ultimi anni. O in tutte quelle aree della Locride ove gli attori del terzo settore e quelli del mondo religioso si sono alleati per contrastare l’arretramento civico e sociale delle comunità e hanno provato a usare i beni confiscati alle mafie per finalità educative e sociali. Con tutte le difficoltà del caso.
Ma c’è ancora troppa gente che odia Mimmo Lucano, anche fra i suoi conterranei. Chi commenta con ironico disprezzo le sue vicende sui social media. Chi cela il proprio disprezzo dietro le paure per un ‘pericolo nero’, irrilevante rispetto a quel pericolo mafioso che per tanti anni hanno tollerato. O subìto. Sono animati, i suoi detrattori, da un mix di rancore storico per un abbandono reale delle infrastrutture e dei servizi (dal ponte sull’Allaro, alle ferrovie, all’ospedale di Locri) e da una rassegnazione fatalistica che guarda con invidia e quasi fastidio a tutto ciò che non vi si adatta. Un kafkiano “tanto peggio tanto meglio”, ormai troppo aduso alle architetture spoglie delle case mai terminate che ingombrano il cielo, per riuscire a guardare con speranza all’orizzonte prossimo.

Mimmo Lucano può far bene alla rifondazione civile della Locride, tanto quanto ha fatto del bene alle persone che ha accolto. Il suo esempio rinnova in questa terra quei valori di accoglienza ereditati dalla Magna Grecia e mai del tutto smarriti. Spero pertanto che vi resti a lungo, e che la sua piccola Città del Sole restituisca un po’ di vista alla cecità istituzionale e civica di chi lo contrasta.

*Sociologia, Università di Padova

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