Mille variazioni di Carla Bley, suono di uno spirito libero
Musica La compositrice e pianista è morta a 87 anni, il suo free jazz dall’avanguardia alle grandi orchestre. "Liberation Music Orchestra" (1969) è il ritratto di un’autrice pasionaria
Musica La compositrice e pianista è morta a 87 anni, il suo free jazz dall’avanguardia alle grandi orchestre. "Liberation Music Orchestra" (1969) è il ritratto di un’autrice pasionaria
Proprio un grande dispiacere. Come faremo senza Carla? Aveva 87 anni, va bene, ma era sempre la ragazza arguta aguzza sapiente che avevamo in testa e che ascoltavamo con immutato piacere (per ricordi del vederla ci occorre andare indietro tanti anni, una sera al defunto Club La Palma di Roma). E l’ascolto aveva il sapore della leggerezza ben maturata. Carla portava con sé quest’idea di fresco, di maestria del debutto. Difficile pensarla morta. Si sa che la correttezza impone di non chiamare per nome solo le donne, ma noi del jazz Ornette (Coleman) lo chiamiamo Ornette e Miles (Davis) lo chiamiamo Miles e sono maschi. Noi del jazz siamo democratici.
CARLA BLEY, dunque, non c’è più. Un tumore al cervello e il 17 ottobre è finita la sua vita che abbiamo tanto amato. Aveva intitolato uno dei suoi lavori più recenti Life Goes On (2020), una cosa come la vita continua, anzi la vita va più avanti. Il titolo era tutto un programma e rimandava a quella stagione di lotte politiche intorno al ’68 che l’avevano vista in prima fila, tra società e musica. Un lavoro in trio (con Steve Swallow, il suo ultimo amore, al basso elettrico e Andy Sheppard al sax). Lei al pianoforte a esibire con ulteriore bravura la sua magistrale concisione. Una pianista che forse si collocava, quanto a stile, sulla scia dei Count Basie e John Lewis «two finger» e aggiungeva tutto il moderno e il postmoderno possibili.
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Paul Bley, tasti poeticiCarla Bley prima di tutto scrittrice di musica. Quando nel 1969 esce lo storico album firmato Charlie Haden, Liberation Music Orchestra, quello con la copertina che ritrae i musicisti coinvolti, da Haden a Don Cherry, da Gato Barbieri a Dewey Redman, lei e Haden ai due estremi del «cordone» di «militanti» con uno striscione che è tipo manifestazione di quei tempi, Carla ha la parte precisa dell’arrangiatrice e autrice. Il disco è un vulcano di free rovente e di elaborazioni di canti di lotta (El Quinto Regimiento, We Shall Overcome) e di guerriglia (Song for Che). La scrittura di Carla è qui il suo ritratto di pasionaria, la leggerezza matura si vedrà più avanti.
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Quando il jazz è politicaUN INTERROGATIVO urgente. Carla Bley moderata? Ce lo chiediamo perché le sue orchestre, le sue Carla Bley Bands, quasi sempre rimaste immutate nell’organico dai tardi anni ’70 in poi, non suonano più free in senso stretto, viaggiano lungo le rotte della cantabilità e delle reinvenzioni, qualche volta ironiche, di climi sonori passati. Nell’album Social Studies (1981) in pratica si pone lo stesso interrogativo anche lei intitolando il brano d’apertura Reactionary Tango. Quanto amabile e acuta questa ragazza! Non è per niente musica reazionaria. È un tango paradossale situabile in un Kabarett tedesco degli anni ’30 e non in Argentina. L’orchestra suona un finto morbido in realtà un ruvido ed escono fuori spunti solistici che hanno incorporato tutto il sapere del modern e del free.
HANS EISLER e dintorni occupano il cuore e la mente di Carla per parecchio tempo. Ma c’è posto, in anni recenti, per ritrovare l’America, per sintonizzarsi con le big band storiche dell’era dello swing, con Ellington, con Mingus. Escono Looking for America nel 2003 e Appearing Nightly nel 2008. Sono in organico gli inseparabili Gary Valente (trombone), Andy Sheppard (sax), Lew Soloff (tromba). Il timbro è pastoso, lo stile più colloquiale di quanto sia stato negli anni in cui l’esperienza dell’avanguardia si faceva sentire. Grande musica della nostra bionda platino, con la sua frangetta indimenticabile, con la sua avventurosa cordialità, con la sua finezza di compositrice.
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