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Milano, la vita sui tetti delle madri nella crisi

Milano, la vita sui tetti delle madri nella crisiIl flash mob organizzato dalle "Madri nella crisi" – Marta Cosentino Santamato

Lavoro Il racconto dell'occupazione del policlinico. Sedici notti di fila, tra manifestazioni, flash mob, assemblee e una richiesta: riconoscere le professionalità e i diritti maturati in anni di precarietà

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 luglio 2014

Una volta raggiunto a piedi il quinto piano del Padiglione Alfieri, bisogna bussare, farsi riconoscere e aspettare che venga tolta la scala che blocca l’accesso al tetto. Dietro la porta c’è sempre qualcuno perchè c’è anche la centralina dell’ascensore.

«Bisogna essere tempestivi nell’agevolare l’intervento dei tecnici, in caso di guasto» spiegano le occupanti. Davanti all’ingresso, un cartello con le parole con cui, lo scorso 25 maggio, il subcomandante Marcos ha annunciato il suo ritiro: «Per lottare è necessario possedere solo un po’ di vergogna, tanta dignità e molta organizzazione». E di organizzazione le Madri nella Crisi, sul tetto del policlinico di Milano per la 16esima notte di fila, sembrano proprio averne.

Per loro, decise a non scendere fino a che non verranno ricollocate, la vita da presidio all’aperto è ormai quasi una routine. Sia che faccia caldo o che piova. Hanno riproposto i ruoli di un tempo, quando lavoravano come operatrici socio sanitarie al Policlinico: la «caposala» tiene le fila dei turni che si declinano tra la mattina, il pomeriggio e la notte. A dormire restano almeno in 4, più un uomo.

Ci si alterna perchè lo spazio nella tenda è poco e perchè sono in tante ad avere a casa dei figli. Spesso manca un compagno. Si avvicendano nel fare la spesa e nel tenere in ordine quella che è diventata la loro seconda casa. Hanno un fornello elettrico, un piccolo frigo e anche una griglia, per qualche svago serale. L’altra sera raccontano di aver mangiato tutte insieme i tagliolini al tartufo. «Ce l’hanno regalato», precisano.

Sul tetto c’è sempre qualcuno. Costante è la presenza al banchetto di raccolta firme allestito all’ingresso dell’ospedale. Ne hanno raggiunte duemila e presto le consegneranno all’Assessore Comunale alle politiche sociali di Milano, Pier Francesco Majorino che lo scorso 10 luglio, insieme all’assessore al lavoro, Cristina Tajani, ha incontrato i delegati Usb. Ne è uscito l’impegno a sollecitare quello Regionale alla Sanità, Mario Mantovani che finora è rimasto zitto. Con un nulla di fatto invece si è concluso il tavolo con Fulvio Matone, il direttore generale dell’Arifil.

Il confronto con Palazzo Marino resta aperto fanno sapere le rappresentanze sindacali. Aspettano a giorni delle altre risposte. Con le vancanze incombenti, tutto rischia di slittare a settembre.

Lunedì si è svolta un’assemblea cittadina dove le ex lavoratrici del Policlinico hanno invitato le varie anime della precarietà milanese a far rete. Presenti il coordinamento 3 ottobre, quello dei precari della scuola che hanno passato la notte accampati davanti al Pirellone e un rappresentante degli operatori sociali. Un flash mob ha inaugurato la discussione: lungo la rampa d’ingresso dell’ospedale, disposte in tre file, la fionda alla mano, le madri nella crisi hanno teso l’elastico verso l’edificio in cui hanno prestato servizio per diversi anni.

Hanno impersonificato l’immagine di una donna con una fionda che evoca il simbolo delle mujeres libre, un collettivo femminista di precarie bolognesi che prende il nome dal movimento anarchico di donne attivo in Spagna durante la rivoluzione degli anni ’30. La loro lotta è ispirata alla stagione dei tetti e agli operai della Innse che nel 2009 erano saliti sulla gru per difendere il loro posto di lavoro.
Una donna ha sussurrato alla collega: «Loro ce l’hanno fatta. Hanno vinto». E ha sorriso.

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