Neanche il replicante Roy Batty di Blade Runner aveva mai visto una cosa come la vicenda di San Siro. Chi ha in affitto un bene del Comune, pretende di demolirlo perché non gli va più bene, e di costruirne uno nuovo, sempre su terreno pubblico, con i soldi che ricava dalle operazioni edilizie, sempre su terreni pubblici, che il Comune deve concedergli.

Dopo tre anni di trattative private, con un intreccio di poteri edi affari, di coincidenze (?) inquietanti, le due società cinoamericane, dalla proprietà incerta, dettano le condizioni al Comune. «Abbiamo bisogno della proprietà dello stadio per competere in Europa»: ormai dovunque, in Europa, anche a Torino, le squadre sono proprietarie o hanno in concessione esclusiva lo stadio in cui giocano, ma non per questo primeggiano. Ma qui si vuole far passare la gestione in compartecipazione di uno stadio, «nuovo», brutto, anonimo, meno capiente del Meazza, come una soluzione moderna. Siamo invece a quanto di più antico ci possa essere: la speculazione privata su aree pubbliche, per concessione del Comune. In questa operazione, il Comune, in 90 anni a valore odierno, perderebbe, minimo, 558 milioni di entrate. E non ci sarà aumento del verde profondo, né soldi per il restauro delle case popolari di San Siro.

La zona di San Siro appare nei rendering come una foresta amazzonica: in realtà, il verde previsto in aumento è sul tetto del centro commerciale. Milano come la mitica Babilonia, con i boschi verticali, le torri botaniche, i giardini pensili, le palme e i banani in Piazza Duomo. Le società vogliono distruggere il Meazza, con un gigantesco danno ambientale. Ma il Meazza è un simbolo di Milano, non solo del calcio, ma della cultura di questa città: il nuovo che si integra con il vecchio, e il vecchio che ritrova nuova vita con il nuovo.
In realtà in questi anni si è ceduto alle sirene del «moderno è bello comunque» e del nuovo è meglio sempre», sradicando città e abitanti dalla loro storia. Il Comune ha ceduto e cede totalmente alle lusinghe di queste pratiche da «capitalismo assolutamente predatorio nel breve e nel brevissimo termine», come scriveva Salvatore Veca su una bellissima rivista, Città. I fondi immobiliari, assicurativi e bancari vengono a Milano perché si pagano gli oneri di urbanizzazione più bassi d’Europa e in qualche caso si regalano. E si regalano anche volumetrie. Si crea uno skyline della città con cento torri, una città per ricchi, omologando Milano a qualsiasi altra città del mondo senza storia, e nel contempo le periferie vengono lasciate al loro destino. Negli ultimi dieci anni, ci sono stati sei grandi interventi immobiliari con indici di edificabilità media dell’0,79 mq./mq. e in programmazione ce ne sono altri dieci con un indice medio di 0,85 mq./mq.

Si noti che l’indice standard del Piano del Territorio dovrebbe essere 0,35. Ma con queste operazioni immobiliari le disuguaglianze sociali diminuiscono? Le opportunità per i giovani aumentano? Con l’elezione diretta del Sindaco, c’è stato un allargamento della vita democratica e della partecipazione dei cittadini? Dove si discute della città e dei suoi abitanti? In Consiglio Comunale? Il Consiglio Comunale di Milano ha discusso solo un ordine del giorno su San Siro in una seduta del 28 ottobre 2019.

Si è ancora in tempo a fare l’unica cosa giusta: indire un concorso internazionale per l’ammodernamento del Meazza, per la sistemazione dell’esterno e per la gestione. Una misura di trasparenza e di chiarezza, nell’interesse pubblico e delle casse comunali.

* Comitato Sì Meazza ed ex vicesindaco di Milano