Il paradosso è tutto nel comunicato di ieri pomeriggio della curva sud del Milan, stasera impegnato nel match di ritorno con l’Inter per l’accesso alla finale di Champions League. Perché, come gli enti pubblici, come le società private, gli ultras esprimono le loro posizione attraverso dei comunicati stampa: «Perché i giornalisti possono porre le domande che vogliono ai calciatori e noi no»?, chiede il tifo organizzato rossonero, che si sente in diritto di porre domande e convocare i calciatori. La questione della rosa milanista convocata sotto la curva e in silenzio ad ascoltare dopo la sconfitta con lo Spezia, in alcuni casi annuendo, l’ars oratoria di Francesco Lucci – fratello di Luca, capo riconosciuto della curva milanista, condanna di sette anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti a maggio 2022 -, è tuttora aperta. E contribuisce alla sceneggiatura grottesca il presidente del Milan, Paolo Scaroni, che parla di «incontro positivo» tra calciatori, allenatore e ultras, poi addirittura di una specie di operazione-simpatia.La sanzione è stata introdotta nel 2015 per evitare gogne pubbliche per gli atleti, dopo aver osservato i calciatori del Genoa costretti a dal tifo organizzato a sfilarsi la maglia sul prato di Marassi.

NON È OVVIAMENTE la prima volta che accade. E se risulterebbe utile conoscere il parere sulla vicenda di Paolo Maldini, ora dirigente del Milan, prima leggenda rossonera che ha sempre evitato ogni tipo di laccio con il tifo organizzato, va ricordato che il codice di giustizia sportiva non permette questo tipo di comportamenti. Anzi, li sanziona: articolo 25, comma 9: «Durante le gare o in situazioni collegate allo svolgimento della loro attività, ai tesserati è fatto divieto di avere interlocuzioni con i sostenitori o di sottostare a manifestazioni e comportamenti degli stessi che costituiscano forme di intimidazione, determinino offesa, denigrazione, insulto per la persona o comunque violino la dignità umana». La sanzione è stata introdotta nel 2015 per evitare gogne pubbliche per gli atleti, dopo aver osservato i calciatori del Genoa costretti a dal tifo organizzato a sfilarsi la maglia sul prato di Marassi. Dunque, è vietato quel tipo di rapporto. E in attesa di eventuali sviluppi sul caso, resta la domanda alla base in cui si condensa l’essenza dello sport, dove si corre, si gioca, si vince e si perde: perché si è affermato da decenni in Italia un sistema tale che induce un pacchetto di atleti professionisti, dopo la loro prestazione di lavoro, con esiti vincenti o perdenti, a sentirsi in dovere di doversi recare sotto una curva per sorbirsi la ramanzina dagli ultras? È davvero così difficile spezzare questo legame così dannoso per il calcio italiano?