E infine anche Milan Kundera è passato dall’altra parte, come recitava il titolo di un romanzo del grande artista boemo, di lingua tedesca, Alfred Kubin. Romanzo che inaugurava peraltro la «Biblioteca Adelphi», quasi sessant’anni fa: si potrebbe racchiudere il primo tratto del cammino della casa editrice milanese, concluso dalla morte di Roberto Calasso, tra Kubin e Kundera, sotto il segno dell’altro grande K, anche lui boemo di lingua tedesca: Franz Kafka. Al lascito terreno dell’autore del Castello toccò in sorte una vicenda postuma quantomai avventurosa, e nota solo in parte. Perché se tutto si è detto delle lettere nelle quali Kafka lasciò scritto all’amico e scrittore Max Brod di distruggere gli inediti che fossero emersi dal suo studio – inediti tra cui giaceva gran parte della sua opera letteraria oggi conosciuta -, e della conseguente decisione di tradire il testamento dell’amico da parte di Brod, che pubblicò in pochi anni quasi tutto quello che trovò in quello studio, poco si sa del pasticcio che lo stesso Brod provocò impossessandosi dei manoscritti di Kafka.

Costretto dagli eventi a emigrare, egli portò in Palestina parte del suo tesoro, affidando il resto a un caveau in Svizzera e lasciando tutto in eredità alla sua amante e segretaria, Esther Hoffe. Sotto la pressione di diverse istituzioni di ogni parte del mondo, i fiduciari elvetici tradirono a loro volta Brod, e vendettero dopo la sua morte alcuni dei manoscritti (vertiginoso immaginiamo il viaggio segreto in automobile da Oxford a Zurigo non già di un agente di sua maestà, ma dell’insigne critico letterario Malcolm Pasley, che si recò personalmente a prelevare alcuni manoscritti per portarli tra le mura della sua università, dove tutt’oggi sono custoditi, presso la Bodleian Library).

L’ULTIMA EREDE dei manoscritti di Kafka, la figlia della ormai defunta Esther, ha resistito strenuamente per decenni, rimanendo in possesso di numerosi autografi kafkiani, letteralmente asserragliata nella sua casa in Israele. Soltanto pochi anni fa la sentenza di un tribunale è riuscita a assegnare alla Biblioteca nazionale di Tel Aviv ciò che rimaneva in possesso dell’anziana signora. E così, per esempio, l’anno scorso abbiamo potuto vedere pubblicati, in tutto il mondo e per la prima volta in un’opera completa, i disegni che Kafka aveva accumulato nelle pagine dei suoi diari e su fogli sparsi.

NON SAPPIAMO se Milan Kundera abbia fatto in tempo a sfogliare l’edizione francese dei Cahiers Dessinés o quella italiana della sua Adelphi. Né se nel suo lascito giacciano opere letterarie inedite. Ma quando le agenzie di stampa hanno annunciato nei giorni scorsi che la sua biblioteca personale è stata completamente archiviata e preparata per la spedizione che porterà 980 chili di libri da Parigi alla biblioteca pubblica della sua Brno, in Moravia, alcuni dettagli interessanti sono trapelati, più o meno ufficiosamente.

I libri di Kundera appena arrivati a Brno Foto Ap

Tra le migliaia di volumi che Kundera ha voluto lasciare alla Moravská zemská knihovna v Brne – passaggio che la vedova Vera Kunderova, di mestiere archivista, ha curato personalmente – sappiamo che si trova una prima edizione del 1580 degli Essais di Montaigne, ricevuta in dono come riconoscimento letterario (valore stimato in milioni di euro). Subito l’inventario suggerisce uno spunto forse irriverente, forse corrivo: è stato, Kundera, più grande come saggista letterario che come romanziere? Sono forse i suoi grandi saggi – L’arte del romanzo, Il sipario, Un incontro e appunto I testamenti traditi – la vetta della sua opera letteraria? Nessuno scrittore del suo rango ha saputo e voluto confrontarsi con il romanzo come materia a sé stante, come discorso assoluto, con il nitore della prosa di Kundera. Che, tuttavia, ammoniva al tempo della pubblicazione dell’Arte del romanzo: «Devo sottolineare che non ho la minima ambizione di fare della teoria e che tutto il libro non è altro che la confessione di uno che fa della pratica? L’opera di ogni romanziere contiene implicitamente una visione della storia del romanzo, un’idea di cos’è il romanzo; ed è proprio quest’idea, insita nei miei romanzi, che ho cercato di far parlare».

I romanzi di Kundera sono frammisti a una moltitudine di «pause saggistiche» divenute nel tempo segno stilistico inconfondibile, a partire da L’insostenibile leggerezza dell’essere e gli inserti sul kitsch e le sue declinazioni (acidamente criticate da Italo Calvino in una recensione contestuale alla pubblicazione in Italia del romanzo), sulla leggerezza e sulla pesantezza (a Nietzsche è dedicato l’incipit del libro), su certe attitudini caratteriali dei personaggi. Kundera trova la risoluzione, o meglio la via di uscita, ai quesiti filosofici che egli stesso si pone, esclusivamente attraverso il linguaggio letterario. La leggerissima falena spaventata dalla luce, alla fine del libro, nel momento in cui i due personaggi già condannati a morte dal narratore entrano, al culmine della loro pesantezza esistenziale, nella stanza della locanda: è una scena di intensità poetica (e musicale) insostenibile, oppure, come avrebbe detto Montaigne, indigeribile, soprattutto in quanto «scioglimento» della fabula. Il Kundera saggista coincide, infine, con il Kundera romanziere.

Le note più acute del Kundera al lavoro sul romanzo si ascoltano forse proprio nel confronto con Kafka; nell’invenzione della figura del «kafkologo», colui che non riconosce lo scrittore Kafka nel suo valore estetico preferendo la lettura di Brod, principe dei kafkologi, che voleva un Kafka profetico – profeta di tutto, dell’ebraismo, della terra promessa, del dolore dell’uomo passeggero in terra ., ma Kafka non è esistenzialismo, né «ufficio informazioni sull’umanità», scrisse Adorno. Kundera mostra mirabilmente l’umorismo di Kafka, il suo lavoro di costruzione stilistica, i suoi legami segreti con la storia del romanzo, con Dostoevskij, Flaubert, persino con Rabelais. Scorrendo quell’inventario ancora ufficioso della biblioteca di casa Kundera arriva una trouvaille fatidica: una edizione in francese degli scritti di Max Brod, commentata, annotata a margine fino alla consunzione delle pagine.

DALLA BIBLIOTECA di Kundera si sposteranno anche ritagli di giornale, diversi disegni, in buona parte già editi, e gli originali di alcuni scambi epistolari, tra i quali quelli con Truffaut e Fellini. Tutto confluirà in una speciale sezione della biblioteca di Brno, la «Biblioteca Milan Kundera», già inaugurata qualche anno fa e destinata a ingrandirsi e trasformarsi.
Chissà se dall’altra parte anche Kundera troverà il modo di rendere la vita complicata agli archivisti e ai filologi che si interesseranno alla sua opera. Il suo lascito si direbbe assai più ordinato rispetto a quello di Kafka, che custodiva nella sua biblioteca personale pochi libri, ma una infinità di pagine inedite e incompiute. Anche i libri di Kundera e qualche suo manoscritto viaggeranno attraverso l’Europa come fu per le carte di Kafka. Immaginiamo il percorso un poco incongruo che seguirà il camion stipato di scatoloni: da Parigi a Praga, innanzitutto. Un breve passaggio a Vienna, per rifornimento. Poi di nuovo su, a Brno. Speriamo che i libri siano stati imballati a dovere.