Non sarebbe contento Milan Kundera delle poche righe che seguono, belle o brutte che siano. Non voleva mischiare la sua scrittura con la politica. Meglio, negava che le sue opere avessero fini politici. Eppure la Primavera di Praga si diffonde coi suoi profumi in molte delle sue pagine. Una Primavera trasformatasi in un caposaldo mitologico europeo fiorito tra il 1963 e il 1968 soprattutto nella fervida immaginazione di una folla di artisti e artiste di ogni campo, letteratura, cinema, teatro, filosofia, poesia… e poi coagulato in un governo dei primi mesi del ’68 e ad agosto già ammazzato dai carri sovietici.

E Milan Kundera? Era nato a Brno da padre pianista e musicologo, e quelli che se ne intendono ne troveranno l’imprinting tra i punti e le virgole dei suoi scritti, comunista entusiasta nel ’47, un anno prima del colpo di Stato comunista a Praga, appunto. Espulso nel 1951, riammesso nel ’56, quando da noi molte teste pensanti se ne andavano dall’omonimo partito a causa dei cingolati a Budapest.

Un’immagine della Primavera di Praga, 1960. Foto Ap

Nel Quarto Congresso degli scrittori del 1967 la relazione di Kundera non manda a dire che la decadenza della letteratura cecoslovacca è dovuta all’atmosfera asfissiante dello stalinismo esportato da Mosca e accolto con festante devozione dai cacicchi praghesi. Non era il solo, con lui altri splendidi mitomani proponevano un altro mondo possibile. Sullo scivolo della Storia si scorreva a velocità incredibile: un anno dopo gli atti del convegno erano pubblicati in centomila copie. Anni in cui a Praga, e non solo, il mercoledì sera e il giovedì mattina presto si formavano code infinite davanti alle librerie perché era il giorno di arrivo delle novità, poetiche e narrative.

UN NUGOLO di intellettuali di diversa formazione ed estrazione incide sulla storia concreta e non immaginifica, modifica il sentire di una parte consistente della popolazione, avvia una trasformazione che solo una frana di violenza riuscirà a fermare. Una rarità della Storia che tuttavia era stata preceduta nel 1963 da un convegno rivoluzionario su Franz Kafka. Non c’erano segnali della sua presenza nella città dove era nato ed aveva vissuto. Era uno scrittore preso da paturnie borghesi. Il convegno incrinava questo dogma cristallino. Kafka avrebbe cominciato a parlare ai suoi concittadini. Fino ad oggi, diventato gadget turistico.

Due anni dopo, Rossana Rossanda che allora dirigeva la sezione culturale del Pci, partecipa a Dobris ad un altro convegno tra intellettuali legati al movimento operaio dell’est e dell’ovest. Con lei ci sono Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini con i quali fa «comunella». Lì raccontava di avere incontrato straordinarie figure «come Karel Kosik, Antonin Liehm, Mancko e forse Kundera». Che Rossana Rossanda deve avere reincontrato a Parigi, e infatti scriveva ricordando la stagione della Primavera di Praga preparata da un grande fermento intellettuale poi cancellato dai tank del Patto di Varsavia: «Altri si dibattono all’estero. Kundera non pensa al passato se non come derisorio, nello sperimentato e nello sperato; diversamente da altri non vuole fare il “testimone della patria martire”, è cosmopolita e sorridente e forse, e forse per questo inconfondibilmente ceco».

E MILAN KUNDERA? Aveva scritto nei primi anni Sessanta un romanzo intitolato Lo Scherzo, pubblicato poi nel 1967 (in Italia nel ’69), in cui l’aver scritto una cartolina indirizzata ad un’amica con qualche frase del catechismo di regime e la chiusa Viva Trotskij, degrada per sempre la vita del giovane mittente.

E poi? Antonin Liehm, amico praghese di Kundera, supera la Cortina di ferro ad inizio ’68 e va a Parigi. In borsa ha il romanzo di Milan. Gallimard lo dà ad una lettrice di ceco che dice che non è interessante. Tra il 20 e il 21 agosto 400mila soldati sovietici, seimila carrarmati e un migliaio di aerei si impegnano a spiegare ai cechi che è meglio cambiare andazzo. A Parigi il romanzo viene dato ad Aragon, che sa dove mettere le mani, Lo Scherzo viene tradotto e comincia la monumentalizzazione di Kundera. Nel 1975 espatria con la moglie nella capitale francese e diventa uno scrittore francese. Più di un decennio dopo i suoi romanzi sono tradotti in ceco e pubblicati a Praga.