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«Mike», la macchina televisiva e la malinconia del presentatore

«Mike», la macchina televisiva e la malinconia del presentatoreClaudio Gioè nei panni di Mike Bongiorno

Tv La miniserie dedicata a Bongiorno, con protagonista Claudio Gioè, arriva su RaiPlay dopo il passaggio su Rai1. Vengono evitati gli intenti celebrativi, ma il risultato risulta asettico

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Gaffe, bizze, goffaggini. Un po’ per carattere – ma anche tanto per mestiere – Mike Bongiorno ha incarnato sin dall’inizio della sua carriera l’uomo medio che si confronta con il «nuovo mezzo» televisivo, avvicinando il pubblico e trasformando i suoi primi show (Lascia o raddoppia su tutti) come veri e propri fenomeni di massa. Una sorta di assuefazione dell’ovvio e di «banalizzazione» della realtà, tanto da diventare soggetto di un profilo tracciato con precisione chirurgica nel 1961 da Umberto Eco, nella celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno. In realtà, e il tempo lo dimostrerà, Bongiorno è stato lungimirante e profondo conoscitore della macchina televisiva: il primo a capire che non serviva più promuovere programmi per vendere la tv, ma occorreva realizzare spazi pubblicitari per vendere prodotti.

Il suo passaggio dalla Rai a Mediaset è sintomatico: è lui che interpreta con chiarezza e porta alla casalinga di Voghera il verbo berlusconiano. Ma questo non interessa agli autori della fiction in due puntate andata in onda su Rai 1 e ora su RaiPlay, e presentata in anteprima alla Festa di Roma, che si concentra invece sugli anni Rai e sulla formazione dell’uomo Mike. Si parte dai trionfi di Rischiatutto: campo lungo con Bongiorno (Claudio Gioè, perfettamente calato nel ruolo) ripreso di spalle mentre si incammina lungo i corridoi degli studi milanesi dove si trasmette in diretta l’ultima puntata di stagione dello show davanti a 22 milioni di spettatori. Siamo nel 1971 – la fiction è ambientata in quest’anno fondamentale, quando Mike è all’apice dalla carriera. Da qui la sceneggiatura di Salvatore De Mola (consulente speciale della serie è invece Giuseppe Bonito) tratta dall’autobiografia La versione di Mike di Mike Bongiorno con Nicolò Bongiorno edito da Mondadori, gioca con ripetuti flashback, attraverso l’escamotage di un’intervista con il giornalista Sebastiano Sampieri (Paolo Pierobon) che è l’unico personaggio di fantasia.

È IL PRETESTO per mostrare il lato «malinconico» del presentatore italo americano e che permette di raccontare la sua vita. Dal crollo della borsa di New York nel 1929, che costringe il padre avvocato a portare la moglie e il piccolo Mike a Torino, e segna anche la separazione dei genitori. E la fiction ripercorre gli anni di formazione nel capoluogo piemontese, gli studi, la gavetta come galoppino in un quotidiano come giornalista sportivo, la guerra dove Mike si distinguerà come staffetta partigiana rischiando la vita. E poi il periodo della prigionia e la liberazione che lo riporta a New York, da dove muove i primi passi della sua carriera. Durante l’intervista – dove si alternano Mike quarantenne (Gioé) e Mike giovane (Elia Nuzzolo) – le vicende private, le mogli – in particolare la seconda Daniela Zuccoli (Valentina Romani) che resterà con lui fino alla fine. Ma se la recitazione di Gioè è efficace e mai sopra le righe, il contorno della fiction sconta i limiti dei prodotti a cui ci ha abituati la rete ammiraglia. I personaggi di contorno non bucano mai lo schermo, e i mutamenti sociali del paese uscito distrutto dalla guerra e dal fascismo insieme all’affermazione del mezzo televisivo, lambiscono ma non sono mai centrali all’interno della storia. Una serie che evita – è vero – intenti celebrativi, ma che risulta troppo asettica.

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