Ad annunciarlo sarà il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker nel discorso sullo stato dell’Unione che terrà questa mattina a Strasburgo. Lo stanziamento di 30 miliardi di euro deciso ieri sera dal collegio dei commissari e destinato alla creazione di un Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, primo passo di quel migration compact di cui si è più volte parlato nei mesi scorsi e con cui l’Europa conta di arginare gli arrivi dei migranti ai suoi confini. I soldi saranno destinati soprattutto a investimenti da realizzare in Africa e nei «paesi vicini» (i Balcani) in cambio di un maggiore controllo delle frontiere e della creazione di campi profughi dove esaminare le eventuali richieste di asilo.

La crisi dei migranti è solo uno dei temi che Juncker affronterà oggi illustrando la nuova agenda dei lavori di un’Unione europea ormai senza più la Gran Bretagna e alla quale il presidente della commissione Ue proporrà un rilancio sul piano degli investimenti, tornerà a proporre la lotta all’evasione fiscale e nuove misure per fronteggiare il terrorismo. Tutti temi caldi che verranno ripresi anche nel vertice dei capi di stato e di governo che si terrà venerdì a Bratislava.

L’accordo raggiunto ieri sui fondi per il migration compact rappresenta in qualche modo un compromesso. 3,1 miliardi di euro verranno del budget dell’Unione europea e sono destinati a moltiplicarsi per dieci grazie alle leve di investimenti. Il progetto iniziale prevedeva che una somma analoga arrivasse dagli Stati membri, arricchendo così ulteriormente il Fondo. La resistenza di molti Paesi ha però impedito che questo avvenisse. Alla fine si è deciso che ogni Paese sarà libero di scegliere il progetto sul quale investire, soluzione che offrirebbe maggiori garanzie sull’effettivo uso dei fondi.

E’ probabile che proprio la destinazione dei soldi non si trasformi in un ulteriore motivo di discussione tra gli Stati. Per l’Italia, così come per tutti gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, i paesi di maggiore interesse sui quali investire sono infatti quelli dell’Africa occidentale e del Corno d’Africa, vale a dire i luoghi di origine della maggior parte dei migranti in arrivo sulle nostre coste. Cosa ribadita la scorsa settimana anche nel vertice Eu-Med che si è tenuto ad Atene. Non è detto però che tutti siano d’accordo e la questione finirà inevitabilmente per ritornare nel vertice di Bratislava. Insieme a un altro punto di sicura rottura tra gli Stati.

Oggi Juncker tornerà infatti a insistere ancora una volta sulla necessità che ogni paese si faccia carico della sua quota di profughi arrivati in Italia e Grecia nel corso del 2015. Si tratta di quei ricollocamenti di cui si parla ormai da un anno senza che però si riesca a metterli davvero in atto per l’ostruzionismo mostrato da molte capitali che sicuramente non gradiranno l’insistenza del presidente della commissione Ue.

Di ricollocamenti ieri ha parlato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita ufficiale in Bulgaria, chiedendo anche una revisione del trattato di Dublino. Quello dei migranti, ha detto il capo dello Stato, è «un fenomeno di carattere epocale e se l’Unione europea non adotta un serio programma di gestione del fenomeno, diventerà ingovernabile». E un appello all’Europa perché attivi finalmente il meccanismo dei ricollocamenti è arrivato anche dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati che ha ricordato come l’Ue abbia deciso un piano biennale per il ricollocamento di 160 mila profughi. «Tuttavia – ha concluso l’Unhcr – il numero dei posti messi a disposizione continua a essere del tutto inadeguato e l’attuazione del programma inutilmente lenta e difficoltosa».