Migrante precipita sul confine e muore
Per fuggire ai controlli La Slovenia si affaccia dai 350 metri di uno sperone roccioso: sotto, mano a mano, la piana si infittisce di case e si vede Trieste a qualche chilometro, bianca, e […]
Per fuggire ai controlli La Slovenia si affaccia dai 350 metri di uno sperone roccioso: sotto, mano a mano, la piana si infittisce di case e si vede Trieste a qualche chilometro, bianca, e […]
La Slovenia si affaccia dai 350 metri di uno sperone roccioso: sotto, mano a mano, la piana si infittisce di case e si vede Trieste a qualche chilometro, bianca, e poi il mare azzurrissimo che splende con la prima luce del giorno. Ma a dicembre, di mattina presto, ci può essere del ghiaccio nascosto, la discesa è ripida, il terreno impervio, pieno di rovi e fenditure rocciose.
Deve essere scivolato il giovane migrante che nella primissima mattinata di mercoledì è caduto in un dirupo proprio sulla striscia di confine, ancora in territorio sloveno ma a due passi dall’Italia. Camminava con la moglie, algerina come lui, da soli nel fitto bosco di carpini, cercando di sfuggire ai controlli delle pattuglie miste italo-slovene che nella giornate precedenti avevano intercettato diversi gruppi di migranti ed avevano intensificato i controlli.
L’intervento dei tecnici del Soccorso Alpino di Trieste e dell’elisoccorso, autorizzati a sconfinare nella vicina Repubblica, non hanno potuto evitare la tragedia: precipitato contro le rocce per 20 metri, il migrante è morto sul colpo.
Arrivare su questo confine vuol dire, per forza, aver seguito la rotta balcanica ed avere quindi alle spalle settimane, mesi, forse anni di violenza e terrore. Quel che succede nei Balcani, di confine in confine, è risaputo: la brutalità quotidiana, le condizioni disumane nei campi, i respingimenti illegali, in Bosnia, in Croazia, in Slovenia.
Sulla stampa slovena e su quella croata si legge delle condizioni invivibili di decine di migliaia di migranti bloccati in una specie di terra di nessuno, in balìa delle polizie di frontiera ma anche di bande di cittadini e cacciatori che organizzano ronde nei boschi. Eppure il flusso di genti in cammino non si arresta e in tanti continuano a morire: annegati nei fiumi o saltati su qualche ordigno rimasto dalla guerra jugoslava (si stimano 30.000 mine inesplose ancora nel terreno solo nella zona del Velebit). Chissà quanti sono morti, muoiono, lungo la rotta balcanica senza che nessuno li cerchi o permetta che si sappia.
Mercoledì mattina, primo giorno del nuovo anno, è successo ad un migrante di 29 anni, precipitato davanti agli occhi della giovane moglie. Chissà come, dall’Algeria!, chissà da quando, un viaggio infinito oltre boschi e montagne. Fino a vedere il mare, fino a quel maledetto strapiombo a cinquanta metri da un nuovo confine.
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento