Il timo è un genere di piante, molto gradite dalle api, di cui esistono diverse specie. Solo alcune, però, possono dare origine a mieli unifloreali, e la più conosciuta è il timo arbustivo, Thymus capitatus nella nomenclatura scientifica (che include pure i sinonimi di Coridothymus capitatus e Thymbra capitata) presente in gran parte del bacino del Mediterraneo. Nel territorio dei Monti Iblei – compreso tra le province siciliane di Siracusa, Ragusa e, in minima parte, di Catania – da questa specie chiamata in dialetto satra o satarèdda, nel periodo estivo si produce un miele di timo in purezza di colore ambrato più o meno chiaro, odori floreali un po’ speziati, sapore dolce e dall’aroma persistente.

GIÀ NELL’ETÀ CLASSICA ERA CELEBRE e apprezzato come attestano le numerose citazioni disseminate nella letteratura greca e latina da Strabone a Virgilio, da Marziale a Ovidio, da Plinio il Vecchio a Claudiano e a molti altri, fra realtà, fantasie bucoliche e miti: su tutti quello di Ibla, un etnonimo dall’origine incerta dal quale derivano i nomi di alcune città (vere e presunte) della Sicilia antica, della catena montuosa e del miele di cui stiamo scrivendo. Un prodotto pregiato, legato a una secolare quanto concreta cultura materiale ma da alcuni anni raro da trovare a causa della riduzione dei campi di timo e quindi del nettare dei fiori che le api vanno a bottinare, e del miele che gli apicoltori riescono a produrre.

Da tempo imbarcato sull’Arca del Gusto di Slow Food – grande catalogo internazionale dei prodotti da salvare dall’omologazione se non dall’estinzione – il miele di timo ibleo è appena diventato il 49° presìdio in Sicilia, la regione al mondo col più alto numero di progetti avviati dal movimento eco-gastronomico per salvaguardare specie vegetali, razze animali e particolari prodotti di trasformazione artigianali che rischiano di scomparire.

]IN QUESTA PARTE DELLA REGIONE siciliana sono diffuse le cosiddette garìghe, termine botanico dato a un tipo di vegetazione contraddistinta da bassi cespugli con vari arbusti ed erbe, comune alle zone aride rocciose, pietrose e solitamente calcaree dell’area mediterranea. Gli ambienti di garìga degli Iblei dal punto di vista floristico vedono l’associazione di numerose specie che, nel complesso, costituiscono un ottimo pascolo per le api; in particolare, quelle caratterizzate dalla costante e prevalente presenza di timo (Thymus capitatus) e rosmarino (Rosmarinus officinalis) sono fondamentali per la possibilità di produrre il tradizionale miele monoflora.

Purtroppo i timeti sono in continua regressione, aggrediti su più fronti negli ultimi decenni. Dei danni sono stati causati da incendi e non è da sottovalutare l’indiscriminata raccolta del timo arbustivo per usi terapeutici e cosmetici. Molta responsabilità per la sua progressiva diminuzione è da imputare alle troppe conversioni di terreni rocciosi in terreni agrari, un capitolo nel quale rientrano gli scriteriati sbancamenti di molte zone di garìga – con distruzione di distese di timo e altra vegetazione spontanea – compiuti per incassare attraverso la Regione Sicilia le sovvenzioni che l’Unione europea destinò, dal 1988 al 2008, a chi metteva a riposo terreni coltivati a cereali con lo scopo di controllare le sovrapproduzioni.

ROSA SUTERA E VICENZO RAIMONDO conducono l’attività di apicoltura con l’aiuto di una delle figlie e del genero. La loro è una piccola azienda a gestione famigliare che dispone di un proprio laboratorio a Floridia, cittadina a pochi chilometri da Siracusa, dove si effettuano tutte le fasi di lavorazione, dalla smielatura dei melari al confezionamento dei mieli nei vasetti. Le arnie vengono spostate secondo le diverse fioriture da una località all’altra. Luoghi che soprattutto Vincenzo conosce e ci elenca: «Per il miele di zagara di fiori d’arancio portiamo le cassette con le api in agrumeti di Lentini o di Carlentini; per quello di zagara di fiori di limone installiamo l’apiario nel terreno di un’azienda agricola che produce il femminello a marchio Igp nell’agro della frazione di Cassibile; sempre in provincia di Siracusa collochiamo le arnie dalle parti di Canicattini Bagni per il millefiori, e a pochi chilometri da Palazzolo Acreide nel periodo di raccolta del timo. Per la produzione di quello di castagno trasferiamo le arnie sui monti Nebrodi nel messinese, e per il miele di sulla andiamo invece sulle Madonie nella Sicilia occidentale».

ROSA È STATA PER ALCUNI ANNI PRESIDENTE di un’associazione regionale di apicoltori, collabora con l’Osservatorio Nazionale Miele di Castel San Pietro Terme nel bolognese e, dal 2003, con la condotta siracusana di Slow Food. Il suo miele di timo più volte è stato premiato in concorsi nazionali.

«Almeno da una quindicina d’anni – ci dice – la produzione è calata. Le annate sono oscillanti, comunque i quantitativi sempre inferiori rispetto ad altre varietà. Quest’estate da ognuna delle 200 arnie che abbiamo piazzato per la raccolta del timo, dalle nostre api abbiamo ottenuto mediamente 2 kg di miele. Quindi, moltiplicando per le 200 arnie utilizzate, la nostra ultima produzione è stata di circa 400 kg, che è da considerare un’annata medio-bassa. Nelle migliori dell’ultimo decennio al massimo siamo arrivati intorno ai 1.200 chilogrammi complessivi di prodotto, ossia una media di 6 kg di timo raccolti dalle api in ognuna delle cassette».

«Per comprendere di cosa parliamo – continua Rosa – dobbiamo sapere che con lo stesso numero di arnie collocate per la raccolta della zagara di arancio o di millefiori, le api riescono a realizzare nelle annate più soddisfacenti una media di 25 kg a singola cassetta, per un totale di 5.000 chilogrammi. E sempre rapportandoci all’ultimo decennio, per il millefiori e l’arancio non abbiamo mai avuto una produzione inferiore ai 2.000 kg».

I DATI SONO EMBLEMATICI. E alla riduzione dei timeti si aggiungono poi i timori – a volte le certezze – di eventuali altre cause (inquinamento, cambiamenti climatici) che influiscono sull’attività naturale delle api in un’annata maggiormente che in un’altra. Per il timo ma anche per altre fioriture.

Degli apicoltori professionali del siracusano e del ragusano all’incirca la metà, ovvero un centinaio (più qualche catanese), continua a portare le api a bottinare il timo arbustivo dove resiste l’habitat adatto alla sua diffusione spontanea. Solitamente tra la fine di giugno e le prime settimane di agosto il roseo-purpureo dei fiori e il loro profumo ne sottolinea la presenza nelle campagne di bassa collina e risalendo i tavolati degli Iblei, in certi tratti tagliati dalle cave come localmente vengono chiamate delle profonde gole ricche di natura e di storia.

«UN OBIETTIVO SU CUI POTREBBE PUNTARE il presìdio Slow Food – commenta Rosa Sutera – è di considerare il timo come una specie da riforestazione, comunque di accrescerne la presenza mediante la piantumazione in luoghi idonei; dove ad esempio è possibile, mediante il suo rinfoltimento, ripristinare degli ambienti naturali che sono stati alterati. A beneficio del paesaggio, della biodiversità e del nostro miele millenario».