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Microfilosofia del cinema

Microfilosofia del cinema"Alice nelle città" di Wim Wenders

Libri Lo studio di Paolo Bertetto si riferisce a una ricognizione chiara e articolata del cinepensiero attraverso un percorso che isola alcuni autori, circoscrive alcuni film

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 luglio 2015

 

Chi conosce Paolo Bertetto sa che pur essendo un professore ordinario di “Analisi del film” (La Sapienza di Roma), è il meno accademico (nell’accezione negativa di visione conservatrice del cinema e di metodologia tradizionale di insegnamento e approccio storicistico alla materia) dei docenti e degli studiosi italiani. Esperto in particolare del cinema degli anni ’20 – ’30 (le avanguardie, l’espressionismo, Buñuel ecc..), è autore di numerosi saggi e volumi alcuni dei quali esprimono in maniera inequivocabile certe sue intelligenti provocazioni e certe sofisticate e anticonformiste provocazioni. Su tutti un libro dedicato nei primi anni ’80 al cinema italiano intitolato Il più brutto del mondo e un saggio recente di cinema politico apparso su “alfabeta2” intitolato Perché il cinema americano è interessante? Perché è marxista.

E’ da poco uscito invece un volume più accademico (si fa per dire) sul rapporto tra cinema e filosofia Microfilosofia del cinema (Marsilio, pp. 310, euro 25). Il saggio arriva dopo altri studi sull’argomento ma sintonizzandosi splendidamente e con un’angolazione originale su un trend culturale che da alcuni anni ha scardinato tabù e preconcetti per esplorare non solo e non tanto un’applicazione più sistematica della filosofia al cinema e una lettura più approfondita del film con le categorie filosofiche, quanto per andare deleuzianamente oltre, rivisitare in maniera più audace i concetti che legano le due discipline. Come testimoniano rassegne, festival e libri dai titoli inequivocabili: “il vento del cinema – chi pensa il cinema/chi è pensato dal cinema” (il festival procidano inventato da Enrico Ghezzi), A cosa pensano i film, I film pensano da soli.

Insomma tutto ruota prevalentemente intorno alla questione che il cinema ha la capacità di produrre pensiero con mezzi diversi dalla parola. E proprio partendo dalle riflessioni teoriche di Jacques Aumont “L’immagine pensa, l’immagine non rinvia direttamente, e soprattutto non rinvia esclusivamente, a ciò di cui è immagine” e naturalmente del Gilles Deleuze di L’immagine-tempo e L’immagine-movimento “Il cervello è lo schermo. I concetti sono immagini. Sono immagini di pensiero. Non bisogna chiedersi “che cos’è il cinema?” ma “che cos’è la filosofia?” “, il libro di Bertetto intreccia i concetti creati dalla filosofia e i concetti creati dal cinema, riflette sulla relazione cinema-filosofia attraverso i concetti. La premessa necessaria è quella di considerare il cinema non come una forma espressiva/disciplina subalterna ma come un sistema spettacolare-narrativo capace di produrre concetti e rielaborare idee. E questa autonomia di pensiero del cinema mette in moto un doppio movimento dal cinema alla filosofia e dalla filosofia al cinema, individua dinamiche di scambio per cui ci si chiede quanto arriva al cinema dalla filosofia ma anche quanto il cinema porta alla filosofia. A differenza di altri volumi sull’argomento che spesso trasformano la stessa premessa teorica nel pretesto per elaborare altre teorie o per elucubrazioni intellettuali di vario tipo aggrovigliandosi in ipotesi e suggestioni complici le potenzialità speculative della filosofia stessa, il libro di Bertetto tra i tanti ha il pregio di tracciare un percorso chiaro e articolato, di esemplificare il rapporto stratificato e sfuggente tra le due discipline, di rendere comprensibile una materia complessa.

E allora la “microfilosofia” del titolo si riferisce appunto a una ricognizione del cinepensiero attraverso un percorso che isola alcuni autori, circoscrive alcuni film, individua alcuni modelli filosofici e cinematografici, cerca alcune interferenze evidenti e altre più nascoste. Nel primo capitolo Dal cinema al pensiero l’autore ipotizza (e documenta) rapporti immaginari tra Buñul, Dalí e Lacan, Fellini e Debord, Godard e Derrida, Wenders e Deleuze-Guattari. Nel secondo Dal pensiero al cinema affronta alcuni filosofi-chiave per il cinema come Nietzsche, Benjamin, Marx e ancora Deleuze. Nel terzo Il cinema e i concetti approfondisce il cinema in rapporto al divenire, al soggetto e all’altro. Nel quarto infine Personaggi concettuali Bertetto si sofferma sui personaggi concettuali “una sintesi tra immaginazione e intelletto, tra sensazione e logica, tra narrazione e concetto” analizzando alcune figure scolpite nell’immaginario protagoniste di film come Dr. Mabuse, M, Citizen Kane, Vertigo, Vivre sa vie, Professione: reporter . Lang, Hitchcock, Welles, Antonioni sono veicoli di concetti filosofici moderni e illuminanti ma anche Lynch, Tarantino, Bigelow sono per Bertetto “pensatori” tutt’altro che secondari.

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