Cultura

Michi Staderini e l’eredità politica di una memoria vivente

Michi Staderini e l’eredità politica di una memoria vivente

ANNIVERSARI Un ricordo della femminista a trent'anni dalla morte. In gioco c’era per lei una questione di democrazia

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 12 ottobre 2024

Figura storica del femminismo italiano, Michi Staderini è morta trent’anni fa, e mai come oggi si può misurare l’attualità e il valore delle sue battaglie. Nella sua grande capacità di fare e organizzare, ha di fatto scritto un testo sul senso che lei (noi) dava(mo) alla battaglia femminista. È stata animatrice delle prime Case delle Donne di Roma con il collettivo Donne e Cultura, ideò e fondò la rivista «Differenze», immaginò e istituì, con altre compagne, l’Università delle donne Virginia Woolf, si è battuta per la libertà della prostituzione, progettò e realizzò un corso sulla pornografia, fece parte del gruppo promotore della rivista «Lucciola» e del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Durante la guerra del Golfo elaborò le specificità di un pensiero delle donne contro la guerra, che confluì in un libro collettivo Il conflitto/i conflitti e nell’invio di un telegramma all’Onu. Diede forma e vita al gruppo di riflessione sulla politica e la democrazia «Onda», e insomma fu presente in tutte le battaglie degli anni ’70-80-90, con la sua capacità di modellare via via nuove espressioni del reale, in un’ottica di progettualità innovativa.
Il «fare» non era per Michi la conclusione di un percorso, ma una tappa, un salto nel fare tra donne inteso come processo di conoscenza in cui si misurava la distanza dal modello maschile e dai suoi precipitati: dire/fare/esistere, in conformità al funzionamento delle strutture del potere. Il fare delle donne, invece – ci insegnava Michi in «Differenze di Politica» – nov. 1979), deve approdare a «un rapporto molto più stretto tra pratica e teoria, obiettivi e programmi, azioni e pensiero, comportamento sociale e comportamento individuale». Tra pensiero, cultura, azione, quando un soggetto «nuovo» si proclama parte integrante della storia e del futuro c’è una diversa continuità.

Ricordare oggi Michi Staderini ha non tanto o non solo valore di memoria della nostra storia, ma anche il senso che non vada perduto il lavoro degli ultimi anni della sua vita, dedicati alla scrittura di un testo sulla pornografia che è un unicum nella letteratura femminista, e oggi (in tempi di morali illiberali) di eccezionale modernità. Purtroppo non ne vide l’uscita, perché venne stampato da manifestolibri solo nel 1998. Come mai Michi Staderini si occupò fin dagli inizi degli anni Ottanta di un argomento così controverso, che «ha nelle donne – come disse lei stessa – una risonanza particolarmente e istintivamente negativa»?
In gioco c’era per lei una questione di democrazia, perché le prime avvisaglie del suo arretramento – diceva – si vedono proprio nella facile censura della pornografia. E c’era inoltre un nodo teorico che riguarda le strategie con le quali il potere e la sua relazione con la sessualità si avviluppano nel corpo sociale, e vengono assorbite nelle nuove foucaultiane forme «disciplinari» del potere. Per questo Michi, con lo spirito di ribellione e di libertà intellettuale che le era proprio, affermava la non censurabilità della pornografia sfidando vecchi e nuovi discorsi di rifiuto. Quelli tradizionali del perbenismo, quelli più recenti della violenza contro le donne.
Una sera, un gruppo di donne, giovani e non, andarono con lei in un cinema a luci rosse: grande fu lo stupore, per non dire lo sconforto, degli altri abituali spettatori, sparpagliati nel locale, nel veder arrivare questa ben strana scolaresca. Un signore seduto accanto a lei allungò una mano sul suo ginocchio. Michi si voltò tranquillamente e gli disse «non ti sentire in dovere di provarci». E lui, spiazzato: «scusi».

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