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Michelle Bachelet presidente

Michelle Bachelet presidenteCile, Michelle Bachelet festeggia la vittoria a Santiago – Reuters

Cile La coalizione di centro-sinistra promette riforme, l’estrema destra «un nuovo Pinochet»

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 17 dicembre 2013

Michelle Bachelet torna alla Moneda come presidente del Cile. Domenica ha vinto il ballottaggio con il 62% dei voti contro il 38% della sua avversaria di destra, Evelyn Matthei. Altissimo il livello di astensione (59%) per queste prime presidenziali con voto volontario: dieci punti in più di quello registrato al primo turno, il 17 novembre. Su una popolazione di circa 16,5 milioni di abitanti, gli aventi diritto erano oltre 13 milioni, ma a votare sono andati solo 6.696.229 di cittadini. L’abolizione del voto obbligatorio data del 2011, e alle municipali dell’ottobre 2012 l’astensione ha raggiunto il 60%.
Bachelet, medico pediatra di 62 anni, figlia di un generale dell’aviazione morto sotto tortura durante il regime di Pinochet, assumerà l’incarico l’11 marzo. Non solo è stata la prima donna presidente del Cile, ma ora è anche la prima ad essere rieletta per la seconda volta, dopo il precedente mandato 2006-2010. La sua avversaria – ministra del lavoro durante il governo neoliberista di Sebastian Piñera e figlia di un generale pinochettista – ha riconosciuto la indubbia vittoria della sua ex amica d’infanzia da cui l’ha divisa la politica, e con la quale ha avuto un breve colloquio a porte chiuse: «La responsabilità della sconfitta è solo mia», ha detto Matthei commentando così la sconfitta della coalizione Alianza, la peggiore subita dalla destra dal 1958.
Dopo il trionfo di Piñera nel 2009 col vento in poppa dell’economia cilena, in molti avevano scommesso su un secondo mandato del centrodestra. L’irruzione delle proteste popolari per tutto il corso del 2011 ha però portato ai minimi storici la popolarità del presidente miliardario, facendo emergere l’altra faccia del «miracolo cileno»: le insopportabili disuguaglianze e l’alto prezzo pagato dai settori popolari in termini di salari, educazione, salute, pensioni. Un 5% di privilegiati guadagna 257 volte di più del 5% dei più poveri. Lo stipendio di un direttore d’azienda è di oltre cento volte il salario di un operaio, che guadagna in media meno di 251.000 pesos cileni (345 euro). Il 31% delle risorse del paese è appannaggio dell’1% di straricchi. La concentrazione della ricchezza in poche mani – dice uno studio compiuto dall’Università del Cile nel 2013 e citato da El Pais – supera il livello registrato negli Stati uniti (dove l’1% detiene il 21% della ricchezza) o della Germania (nelle mani dell’1% dei più ricchi si concentra il 12% della ricchezza).
Dopo il golpe dell’11 settembre ’73, la giunta militare scatenò le politiche ultraliberiste dei Chicago boys, che azzerarono l’economia pianificata e le nazionalizzazioni messe in atto dal governo socialista di Salvador Allende e lasciarono campo aperto all’appropriazione privata di beni e servizi e mano libera a banchieri e multinazionali. I governi democratici della Concertacion, che hanno diretto il paese dal 1990 non hanno cambiato modello nella sostanza. E la disaffezione alle urne evidenzia l’impossibilità di incidere su un quadro istituzionale ancora ingessato nell’architrave imposto dalla dittatura.
Cancellare il simulacro di costituzione rimasto in piedi dai tempi di Pinochet è la rivendicazione più forte, a sinistra. Le sue parti più radicali chiedono un’Assemblea costituente che ridia la parola al popolo e non si lasci imbrigliare nei soliti bizantinismi d’apparato. Oggi la Concertacion è diventata Nueva Mayoria, allargata anche al Partico comunista, che ha portato in parlamento la più nota dei leader studenteschi, Camila Vallejo. Il programma di Nueva mayoria prevede la gratuità del sistema educativo e una riforma fiscale che dovrebbe aumentare le imposte alle imprese dal 20 al 25% in quattro anni. Indirizzo pubblico anche per il sistema pensionistico e per quello sanitario, a cui Bachelet ha promesso 4.000 milioni di dollari per ospedali e centri di salute.
Buoni propositi anche in tema di lavoro. Bachelet, che all’Onu si è occupata dei diritti delle donne, avrà al riguardo molto da fare in un paese in cui le disuguaglianze di genere sono particolarmente evidenti in ambito lavorativo: in Cile, le donne guadagnano circa il 30% in meno, e costituiscono solo il 3% dei dirigenti d’impresa. Nel suo primo discorso al paese, Bachelet ha parlato «di un momento storico che per la prima volta rende possibile un vero cambiamento consentito da un’ampia maggioranza ottenuta». La neo presidente, che ha concluso il suo precedente mandato con un gradimento di oltre il 60%, ha promesso che questa volta il paese avrà «una costituzione nata in democrazia, che assicuri il diritto e che si trasformi in un nuovo patto sociale rinnovato di cui il Cile necessita». Nessun accenno, però, alla nazionalizzazione del rame, la più grande risorsa del paese.
«Non c’è nessun rischio per gli investimenti privati», ha dichiarato l’imprenditore Andronico Luksic, proprietario di Canal 13 e gran finanziatore di Bachelet. L’estrema destra, però, già parla di disastro economico, afferma che il livello di astensione non legittima la sinistra a governare, e promette l’arrivo di «un nuovo Pinochet».

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