Michele Santoro: «Raccontare senza addolcire la pillola»
Posta e risposta Un’insegnante del quartiere Ponte di Nona ha scritto una lettera aperta a Michele Santoro dopo l’ultima puntata di «Italia» su Rai2, un reportage dedicato alle periferie di Roma. Ne è nato un dialogo a distanza che qui pubblichiamo.
Posta e risposta Un’insegnante del quartiere Ponte di Nona ha scritto una lettera aperta a Michele Santoro dopo l’ultima puntata di «Italia» su Rai2, un reportage dedicato alle periferie di Roma. Ne è nato un dialogo a distanza che qui pubblichiamo.
Un’insegnante del quartiere Ponte di Nona ha scritto una lettera aperta a Michele Santoro dopo l’ultima puntata di «Italia» su Rai2, un reportage dedicato alle periferie di Roma.
Ne è nato un dialogo a distanza che qui pubblichiamo.
La lettera aperta di Chiara Flamini
Gentile Michele Santoro, sono un’insegnante che per nove anni ha lavorato nella scuola media di Ponte di Nona. Mi è stato segnalato il servizio sul quartiere che è andato in onda nella sua trasmissione. Non avevo molta voglia di vederlo, temendo che sarebbe stato simile a quello mandato in onda l’anno scorso nella trasmissione Ballarò. In effetti chi ha realizzato il servizio è la stessa giornalista. Purtroppo ho ceduto alla tentazione di vederlo…
Lei sarebbe contento se qualcuno entrasse in casa sua e andasse a filmare con la telecamera solo alcuni angoli della casa (dietro il fornello a gas, sotto i mobili, sugli scaffali più alti della libreria), per dimostrare che casa sua è sporca?
È vero, lei ha detto che non tutte le persone di Ponte di Nona sono delinquenti… Ma si è chiesto, vi siete chiesti, per esempio, che storia c’è dietro la ragazzina minorenne che fa da palo? Era proprio il caso di mostrarla, anche se irriconoscibile per i più, ma riconoscibile per chi vive in quartiere? Se la ragazzina ha visto il servizio, si sentirà importante, si confermerà in quello che fa… e sarà grande anche agli occhi di chi la circonda.
Credo che sia importante denunciare ciò che avviene in alcuni quartieri, ma è necessario allargare lo sguardo. Bisogna mostrare il quartiere a tutto tondo, non limitarsi a guardarne solo una parte, e la peggiore.
Prima di parlare di ciò che non fa la scuola, sarebbe importante entrarci, parlare con gli insegnanti, con gli AEC, con i collaboratori scolastici, che svolgono un lavoro prezioso. Conoscere tutto il faticoso lavoro che una commissione di insegnanti sta svolgendo da 5 anni per contrastare la dispersione scolastica, per formare gli insegnanti che arrivano per la prima volta (e sono più del 50% ogni anno), per gestire il disagio degli alunni, per creare una rete con i servizi sociali, con le cooperative che lavorano con i bambini e i ragazzi in quartiere.
Ma non c’è solo questo. Le faccio qualche altro esempio di cosa certamente non è visibile a delle telecamere che entrano in un modo così violento…
Una donna di Ponte di Nona accoglie in casa i ragazzi più sfortunati, quelli con le famiglie più problematiche, e li aiuta a crescere insieme ai propri figli.
Un ragazzino di undici anni, figlio di lavoratori stagionali, di origine rumena, entra in classe sempre con un bellissimo sorriso, contento di imparare. Porta pennarelli e righe per chi se li è dimenticati…
Una ragazza di 17 anni, spiega in un documentario (che la invito a guardare: «Magari le cose cambiano» di Andrea Segre e chissà mandare in onda, invitando il regista e le due protagoniste) il motivo che l’ha spinta a scegliere il liceo classico: «Ho capito che a me nessuno regalerà niente: dovrò costruire il mio futuro e lo potrò fare se saprò guardare il mondo con uno spirito critico, con un pensiero autonomo».
Un ragazzo di 17 anni, molto in gamba (è stato mio alunno) va a tagliare i capelli di un coetaneo più sfortunato di lui, agli arresti domiciliari.
Allargherei ancora di più lo sguardo.
Vi siete chiesti quanti assistenti sociali per i minori ci sono nel sesto municipio (che comprende Ponte di Nona e Tor Bella Monaca, oltre a tante altre borgate)? Non superano le dita delle mani… Avete visitato i centri di aggregazione per i ragazzi che fanno un lavoro preziosissimo, ma precario perché i bandi vengono rinnovati ogni anno con conseguente perdita di figure adulte di riferimento per i bambini e gli adolescenti?
Mi fermo qui.
L’anno scorso io e alcuni cittadini di Ponte di Nona abbiamo scritto, in seguito al servizio mandato in onda all’interno della trasmissione Ballarò, alla giornalista Francesca Fagnani e alla direzione di Ballarò e, non ricevendo risposta, abbiamo inviato la nostra lettera ad alcuni giornali.
Silenzio assoluto. La stimo molto e spero che possa andare a visitare Ponte di Nona senza telecamera.
Chiara Flamini
La risposta di Michele Santoro
Mia cara Chiara, non sono abituato a rispondere alle critiche che riguardano la trasmissione. Il pubblico deve essere lasciato libero di fare le sue valutazioni.
Il pubblico deve essere lasciato libero di fare le sue valutazioni; e l’interpretazione dell’opera trasmessa non appartiene ai suoi autori.
Ma per vie esterne posso dirle alcune cose di cui sono veramente convinto.
In primo luogo le nostre telecamere sono entrate in case che ci sono state aperte per mostrare una situazione reale di incredibile degrado.
In secondo luogo i giovani a cui fa riferimento sono conosciuti nel quartiere per le loro attività e mostrarli o non mostrarli non cambia di una virgola la loro condizione.
Resta il significato complessivo del reportage: una zona molto vasta di Roma si è trasformata in piazze di spaccio. Lo spaccio convive con l’abbandono, l’assenza di trasporti e servizi civili, la fatiscenza dell’edilizia economica e popolare costretta ad ospitare tutto il dolore del mondo. Questa situazione determina una crisi dei vecchi orientamenti politici dei quartieri e li ha portati prima a votare per Alemanno e oggi per i Cinque Stelle.
Fermo restando che le responsabilità sono prima di tutto dei governi e dell’assenza delle politiche sociali per il risanamento umano e architettonico delle periferie, è significativo che né Alemanno né la Raggi abbiano mostrato la voglia di ingaggiare con lo spaccio di cocaina non dico una guerra ma quanto meno una azione dissuasiva. Non sono stati lanciati allarmi e la sensazione è che non si vogliano turbare gli equilibri consolidati. Probabilmente lei avrebbe raccontato Ponte di Nona in maniera diversa e, tuttavia, non trovo giusto giudicare un racconto per quello che non c’è.
Ciò che abbiamo mostrato è vero? Gli eroi che lei cita riescono a incidere in maniera significativa? Certo ignorare gli sforzi positivi che si fanno indebolisce il reportage e lo rende più piatto e prevedibile. Ma se lei non riconosce che si è formata nelle piazze di spaccio una classe dirigente criminale che condiziona la vita e le scelte dell’intera popolazione, anche della grande maggioranza estranea a quelle attività, partecipa involontariamente a stendere un velo su una tragedia che invece dovrebbe conquistare le prime pagine dei giornali.
Lei pensa che nella Berlino di Annozero non ci fossero volontari o persone disponibili ad aiutare gli altri? Eppure Rossellini fa un quadro disperato di quelle macerie. La speranza nasce dalla potenza del suo racconto e non certo dall’esibizione di personaggi buoni.
Purtroppo noi amiamo Rossellini ma non possediamo la sua grandezza e a volte corriamo il rischio di ridurre la tragedia a stereotipi, l’urlo a rumore di fondo. Il mio rimpianto non è di non aver fatto ciò che lei dice ma di non aver messo sufficiente intensità nel mio lavoro. Comunque la ringrazio, per quello che fa e per quello che pensa.
Un’ultima cosa: la telecamera rappresenta per me quello che rappresenta per lei la lavagna. Fa parte del mio cervello e della mia anima che la porti con me o che la lasci a casa. Grazie di nuovo della sua lettera e auguri sinceri per lei e per gli abitanti di Ponte di Nona.
Michele Santoro
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