Michele Rago e «Il contesto» di Sciascia
Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
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«Voi sapete qual è la situazione politica; della politica, per così dire, istituzionalizzata. Si può condensare in una battuta: il mio partito, che malgoverna da trent’anni, ha avuto ora la rivelazione che si malgovernerebbe meglio insieme al Partito Rivoluzionario Internazionale; e specialmente se su quella poltrona – indicò la sua dietro la scrivania – venisse ad accomodarsi il signor Amar». Amar è il nome del segretario del Partito Rivoluzionario Internazionale all’opposizione e tali sono le parole che Leonardo Sciascia fa dire al ministro degli Interni quali si leggono in una pagina centrale de Il contesto, pubblicato da Einaudi alla fine del 1971. La storia narrata si muove, avverte Sciascia in una Nota, «in un paese del tutto immaginario; un paese dove non avevano più corso le idee, dove i principî – ancora proclamati e conclamati – venivano quotidianamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni nel giuoco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il potere contava. Un paese immaginario, ripeto. E si può anche pensare all’Italia».
E all’Italia pensa Michele Rago quando, il 15 dicembre, recensisce l’opera su «l’Unità». Scrive: «è senz’altro uno dei più belli fra i racconti o romanzi brevi di Sciascia. Si legge d’un fiato con divertita amarezza, come lo scrittore dice di averlo scritto, prima con divertimento e poi senza più divertirsi». Rago segnala il senso che nella narrazione di Sciascia assume il termine ‘contesto’ «cioè la trama che lega le varie ‘parti’, i meccanismi autodifensivi del potere. Industriali che finanziano ribelli, ministri di polizia che frequentano i salotti degli oppositori». Rago infine chiude la recensione in termini che vale la pena di riportare per esteso: «Difficile definire Il contesto un’allegoria. È un’analisi spietata condotta attraverso immagini grottesche, quasi a dire che i problemi che viviamo sono incarnati in uomini, gruppi, vicende umane e possono trasformarsi nell’ingranaggio più disumano. Realtà che si tocca o che, quanto meno, si riesce a vedere nelle articolazioni nitide di un racconto che, senza esitazioni, si può dire eccezionale, se non si vuole adoperare il termine di capolavoro».
Il giudizio di Rago non è condiviso da Mario Spinella che, su «Rinascita» il 21 gennaio del 1972, confessa «di non riuscire a vedere in Sciascia che uno scrittore ‘minore’» come dimostra Il contesto dove egli tratta «una determinata realtà in base a una ipotesi precostituita». Su «l’Unità» del 26 gennaio, Napoleone Colajanni respinge senza mezzi termini «la tesi più apertamente politica» e fin troppo evidente che Sciascia ne Il contesto sostiene: «quella della collusione tra governo e opposizione, nella fattispecie tra democristiani e comunisti, per l’esercizio del potere». Renato Guttuso, augurandosi su «l’Unità» del successivo 1 febbraio che si possa discutere con Sciascia «anche quando egli non ci rende giustizia», dà l’estro ad un intervento di Emanuele Macaluso («l’Unità», 5 febbraio) ove si legge: «L’ultimo racconto di Sciascia ha di fatto seminato solo scetticismo e sfiducia, attraverso una deformazione della realtà sociale e politica in cui operiamo, riducendo a un macchinoso gioco delle parti lo scontro politico in corso, e ha così dato oggettivamente una mano al tentativo di discreditare la politica dei comunisti e della sinistra in chiave qualunquista e antidemocratica». Infine («l’Unità», 11 febbraio) Lucio Lombardo Radice lamenta l’affiorare in «pamphlet amari come questo, il vecchio, vecchio male degli intellettuali italiani: questo (immaginario) collocarsi al di sopra della mischia disprezzando tutto e tutti».
Rago replica: «sono ostile ad una critica ideologizzata che si risolva in aggressione ideologica, soprattutto quando c’è chi fa coincidere ideologia e disciplina; la critica ideologico-disciplinare di ‘sinistra’ si apparenta a quella di ‘destra’; ricorrere a un armamentario critico ‘ideologizzato’ non è impegno politico nella cultura». «l’Unità» diretta da Aldo Tortorella rifiuta la pubblicazione e Rago si dimette dall’incarico di critico de «l’Unità» e, dopo oltre trent’anni, dal Partito Comunista Italiano.
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