Michel Gondry e Noam Chomsky, un incontro visionario
Berlinale 64 Nella sezione Panorama il documentario dove la voce del linguista americano guida lo spettatore, sullo sfondo di una selva di disegni animati
Berlinale 64 Nella sezione Panorama il documentario dove la voce del linguista americano guida lo spettatore, sullo sfondo di una selva di disegni animati
Spericolatamente in bilico tra il documentario e il cartoon Is the Man Who Is Tall Happy?, uscito il novembre scorso in Usa e in programma a Berlino nella sezione Panorama, è l’incontro inaspettato tre due menti diversissime tra loro che in questo film risultano sorprendentemente compatibili. La non fiction e l’animazione erano stati linguaggi in cui Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello, The Green Hornet) aveva già lavorato in passato. La spina nel cuore, per esempio, è il titolo di un documentario che il regista francese aveva dedicato nel 2009 a sua zia Suzette. L’oggetto del suo nuovo film non potrebbe essere più lontano dalla sfera famigliare.
Si tratta infatti del linguista e filosofo americano Noam Chomsky, che fino al 2010, Gondry aveva incontrato solo in dvd, guardando film come Manifacturing Consent: Noam Chomsky and the Media, e che definisce «il maggior pensatore vivente».. Is the Man Who Is Tall Happy? è il risultato di due lunghe conversazioni tra Gondry e Chomsky, avvenute quell’anno, tra le mura sghembe del Ray and Maria Stata Center, disegnato da Frank Gehry per il Massachusetts Institute of Technology dove Chomsky è professore emeritus.
Scenografia concettualmente perfetta per un incontro come questo, l’architettura di Ghery è citata brevemente nella conversazione ma in realtà non si vede nemmeno, in questo film in cui lo stesso Chomsky appare pochissimo, e quasi sempre in quadratini che occupano una piccola porzione dello schermo. È la sua voce che ci guida, alternando memorie autobiografiche a elaborazioni del suo pensiero teorico, sullo sfondo di una fittissima, coloratissima, selva di disegni animati a pennarello dal regista. Tra Cocteau, Keith Haring e un bambino di 7 anni, i cartoon – spiega Gondry nel suo inglese pesantemente accentato – sono un modo per svelare a chi guarda che quello che scorre davanti agli occhi non è oggettivo. Ma il disclaimer è quasi superfluo, soprattutto per un filmmaker che ha sempre fatto del denouement dell’artificio parte integrante del suo modo di comunicare. La scienza moderna è nata nel momento in cui abbiamo accettato di lasciarci sorprendere da ciò che era ovvio, è un’affermazione su cui Chomsky almeno un paio di volte nelle sue risposte. E la dimensione di meraviglia in cui si entra alla soglia di quella sorpresa sembra uno dei soggetti forti del cinema di Gondry.
Nei disegni è la sua interpretazione delle parole del suo interlocutore. In alcuni casi le immagini hanno una qualità letterale – Chomsky bambino in cucina con le zie che cercando di obbligarlo a mangiare gli odiati fiocchi d’avena, con suo padre che gli fa leggere già piccolissimo i testi sacri ebraici, per mano con la moglie (scomparsa recentemente, e di cui non vuole parlare)… In altri visualizza delle affermazioni (non credo in dio, non ascolto il rock ‘n roll…) o un racconto fantastico, come la fiaba in cui un asino si trasforma in un sasso ma continua ad essere se stesso. In altri ancora, rigogliosissime giungle astratte di pensiero sgorgano dalla testa e dalla bocca di un Chomsky in versione cartoon. Il pensiero filosofico di Chomsky è qui privilegiato rispetto a quello politico. Persino l’occasionale inceppo comunicativo tra l’inglese precisissimo di uno e quello molto più grossolano dell’altro è drammatizzata a pennarello. L’effetto molto bello (ricorda un po’ la grande intuizione animata di Richard Linklater, Waking Life), la visione un po’ intricata anche lei.
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