Michael Kenna è attualmente uno dei poeti dell’immagine più conosciuti, premiati, apprezzati nel ricco e combattuto paesaggio fotografico. I suoi viaggi in Giappone, in Nordamerica, in Europa, e spesso anche in Italia, sono stati oggetto di infinite personali e pubblicazioni. Mancava però in effetti una specifica raccolta dei suoi meravigliosi alberi luminosi e geometrici, presenti nelle sue esposizioni e oggetto di calendari che in questi anni un piccolo ma virtuoso editore californiano ha stampato, ovvero Nazraeli Press. Per fortuna tale vulnus editoriale viene sanato: infatti è letteralmente sbocciato nelle librerie il grande volume Alberi/Trees ad opera di Skira.

CHI E’ MICHAEL KENNA? LA SUA BIOGRAFIA ci informa che nasce settant’anni fa nel Lancashire in Inghilterra, che studia alla Banbury School of Art e al London College of Printing, che tiene la sua prima mostra fotografica nel 1979, a 26 anni, nel 1981 inizia ritirare premi e nell’84 esce la sua prima monografia. Da qui ad oggi un costante e crescente trionfo, di certo appartiene a quella nutrita schiera di fotografi internazionali le cui innumerevoli esposizioni e riconoscimenti lasciano chi di noi ama fotografare sempre tra l’ammirato-estasiato e l’incredulo.

Di certo Michael Kenna appare come un uomo mite, con la sua macchina fotografica in spalla, una volta per caso lo incontrai in aeroporto; quella sua nonchalance nel tenersi addosso una macchina fotografica con la stessa sicurezza con cui noi magari teniamo lo zaino; fui incuriosito da quel modo di andare in giro con la macchina fotografica, alla mia ci sto sempre attento e ho timore di sbatterla contro qualcosa, di perderla, tutte evenienze accadute e varie volte. E invece vedevo lì, davanti a me, questo signore tranquillo, canuto, dall’aria del giramondo a cui ne sono accadute tante ma alla fine niente di così stravolgete, lui se la teneva appesa ad una spalla, senza minimo pensiero. Riconobbi poi che si trattava di Michael Kenna.

AVVICINANDO QUESTO RICORDO alle sue fotografie pare di unire i lati di una medesima moneta, combaciano: i suoi scatti sono contemplazioni, sono evidentemente l’espressione di un animo pacifico, c’è tanta luce e tanto spazio nelle sue fotografie, anche quando sono più aderenti ad un soggetto polivocale, come un bosco, o come le case di un villaggio o di una cittadina. Ricordo una mostra di alcuni anni fa tenutasi in Abruzzo, con vortici di case in fila attorno a cime di pietra, rocce sormontate da eremi e chiese, prati collinari e inevitabili presenze arboree come antichi osservatori del tempo atmosferico le cui radici perlustrano a fondo la misteriosità terrestre.

CHE ALBERI AMA SCOLPIRE NELLA LUCE Michael Kenna? «Sono lì da così tanto tempo e ci hanno dato talmente tanto, senza chiedere nulla in cambio» dice, e infatti gli alberi hanno dato molto in termini di ispirazione al suo percorso fotografico, così legato ai paesaggi esterni, remoti, le montagne, le lontananze, luoghi anche poco noti in giro per il mondo. La foto di copertina, ad esempio, è stata scattata a Danyang, in Corea del Sud, nel 2011. Vediamo un pino nero, matrice della notte, che si solleva e si distingue dal manto bianco che ricopre il pendio di montagna sul quale abita e, dietro, accennato, quasi uno sfondo onirico, un paesaggio di foschie e altri boschi. Un albero che sembra emblema di una solitudine meditativa, rassicurante, per nulla conflittuale; come se mentre lo guardassimo quell’albero potessimo diventarlo anche noi, per qualche istante, in qualche remoto anfratto del nostro spirito.

GLI ALBERI DI MICHAEL KENNA ci invitano ad andare a vederli, non per scoprire chissà quale dettaglio, ma ci richiamano, ci sussurrano nel loro popoloso silenzio dove c’è speranza, c’è modo di vivere ancora nella calma, in una singolare esistenza senza guerra o lotte all’ultimo sangue. E basta andare a cercare gli alberi fotografati in Giappone, alberelli appena partoriti al di sopra delle acque di un lago o un fiume, nel Kyushu, o gli alberi innevati dell’Hokkaido, quelle celebri schiere di alberi in fila, uniche matite nere tra fruscii di nevi apparentemente eterne e cieli marmorizzati. O ancora tronchi danzanti scolpiti da inverni impietosi, allungati, giravoltati, sbilenchi, in ristretto ordine geometrico dimostrando l’esistenza di un confine denso di significato qual è il fronte o limitare di un bosco di conifere. Magari prima o poi saremo noi a precipitare in quel pezzo di stagione e col naso arricciato saremo tutto occhi a sondare il passaggio di luce che segna l’abbandono del mondo aperto, alla penombra che risiede tra i tronchi, le cortecce e le radici.

IL VOLUME E’ LA RICOGNIZIONE di quasi mezzo secolo di scatti, dal 1975 ad oggi, ovvero dalle prime imitazioni di Henri Cartier-Bresson alla maturità, dai paesaggi britannici alle enormi querce dell’Oregon. Compaiono molti alberi italiani: i pioppeti psichedelici del pavese, invadenti e vanitose querce sul ciglio delle strade nel cuneese, la fioritura di un albero di cachi a Sulmona, corali di pini domestici in Abruzzo, pioppi neri spettrali nelle pianure piacentine ed emiliane, la monumentale rocciosità di uno dei celebri cedri secolari dei giardini pubblici di Reggio Emilia; e ancora: mandorli immersi nelle nebbie, tappeti di foglie tra filari di pioppi bianchi, alberi senza grandi qualità ma pur sempre alberi che segnano la via lungo le strade che vivificano le nostre vaste province agresti.

MA IL VOLUME OVVIAMENTE CI CONSENTE di sfiorare anche i suoi viaggi in Cina, Svizzera, Cambogia, Laos, India, Myanmar, Austria, Polonia, Ucraina, Irlanda, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Quasi un piccolo giro del mondo alla ricerca di quelle forme inedite di esistenza che gli alberi sanno immaginare e mettere in scena e davanti alle quali amiamo incantarci.