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Mi sono sognato il treno, sulla linea Avellino-Rocchetta

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Intervista: Vinicio Capossela Il musicista e scrittore parla della sua terra e del festival che ha ideato lo scorso anno, dieci giorni di film, concerti, arte, incontri, scoperte e sponsali

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 9 agosto 2014

Come i troubadours di un tempo Vinicio Capossela è in perenne viaggio preceduto dalle sonorità delle sue canzoni, dalla Grecia a Ravenna a Udine a Firenze e poi in Inghilterra e Torino, Specchia e Patù di cui è cittadino onorario e poi ancora più a sud se è possibile. Come un navigatore, valica il mare alla ricerca di onde alte. Un festival da lui stesso ideato però lo riporterà nella sua terra d’origine che non è proprio Hannover dove nacque e dove erano emigrati i suoi genitori, ma Calitri nell’Irpinia, paesino d’origine della famiglia. Qui ha ideato e dirige lo «Sponz fest», un inedito festival dei matrimoni, quest’anno alla seconda edizione (28-30 agosto), ma secondo uno schema di più partiture musicali ne ha aggiunto un altro che fa da giro armonico, da controcanto: «Mi sono sognato il treno», grande appuntamento d’apertura il 20 agosto sulle strade ferrate dismesse, la storia delle ferrovie italiane gettate al vento, la modernità distrutta dall’alta velocità. Come arrivare infatti a Calitri? Assai facile, dice il sito del comune, ma sta di fatto che prima c’era la stazione ed ora è stata chiusa e la linea non funziona più. Cosa significa per lui il suo paese d’origine? In quel paese dalle antiche tradizioni dove sorgeva un poderoso castello di difesa fatto costruire da Federico II nel suo sistema di fortificazione del meridione e crollato un secolo dopo essere stato costruito a causa del terremoto.

Cosa significa per te Calitri?

Il legame più dell’immaginario che del vissuto, perché non sono vissuto a Calitri e questo mi pone dei problemi perché è un luogo mitico, qualcosa da sottrarre all’attualità. Quando poi ti confronti con l’attualità, vedi come vivono i giovani, mi sembra quasi un ammutinamento alla tirannia e alle problematiche dell’attualità. Però per me quelle terre sono davvero le terre dell’origine non perché la mia famiglia discende da lì, ma perché hanno qualcosa di primordiale, di ancestrale perché pare sempre che l’opera dell’uomo sia assolutamente passeggera e che la terra prevalga, anzi se la scuote di dosso con grossi terremoti e con questo cielo che continuamente varia. Da una parte c’è queste ostilità e dall’altra queste terre fertili che allo stesso tempo sono state terre molto dure: ci sono poesie di Pasquale Stiso che parla di questa terra così povera, che dà poco, che costringe ad andarsene. Ma che allo stesso tempo è la terra del mito. Per me è la terra del mito orale. Sono cresciuto con questa zolla di terra trapiantata nella lingua, nell’immaginario, nei racconti in dialetto di mamme e nonne. È tuttora un’evocazione, un mondo che poi è il mondo dell’ancestralità mediterranea per cui quando leggo Omero mi ha sempre ricordato moltissimo quel tipo di cultura: il senso dell’onore, il senso del ritorno, l’etica. E non perché l’ho studiato al liceo che non ho fatto, ma perché come scriveva Carlo Levi gente che si è fatta passare addosso le varie dominazione, le diverse lingue, ma in qualche modo è rimasta impermeabile con quel senso quasi pagano di attaccamento alle divinità della terra. Queste sono le cose che io vedo e sento e cerco di scrivere nella musica, nei racconti. E allora certi riti molto ancestrali come le nozze…l’anno scorso abbiamo pubblicato un disco con la Banda della Posta, con la musica che si suonava ai matrimoni negli anni Cinquanta, Sessanta. La Banda del nucleo originale erano quattro musicisti anziani, ora c’è anche la generazione successiva. Quest’anno abbiamo fatto un concorso per film legati al matrimonio tre giorni, una grande festa, anche legato al Cinema del Reale.

È stato molto interessante essere collettore di una serie di iniziative che esistono, un’occasione di fare comunità, perché non c’erano fondi, non c’era niente la gente si è messa a disposizione. Si è cercato di fare qualcosa di più organico con Giovanni Sparano che ha fatto a Eboli cose molto belle e c’è stata l’idea di fare qualcosa di più seriale come un concorso di corti.

Sono idee che circolano da un evento all’altro per contrapporsi alla mancanza di stimoli culturali che oggi c’è in Italia

E anche di gente, perché SONO terre disabitate, Franco Arminio parla di questi ppaesi che esistono formalmente. Si chiamano «terre dell’osso» così perché la polpa è sulle coste e l’osso appenninico è all’interno.

Ma tornando al festival, il matrimonio non è un po’ fuori moda?

Ma noi non ci occupiamo tanto del matrimonio, quanto dello sposalizio, della festa. Il matrimonio è una faccenda più contrattuale, dura tutta la vita, invece lo sposalizio dura un giorno solo. Lo sposallizio ha tutta una sua ritualità fondante di una società. E poi non ci occupiamo solo del matrimonio certificato, abbiamo fatto tutta una serie di incontri sulle «minestre maritate», «la vite maritata», gli innesti, tutte queste ritualità dell’unione. E poi il concorso sugli sposalizi. Speravo di ricevere anche cortometraggi di botanica.

E il treno?

Sono due finanziamenti distinti che abbiamo organizzato nello stesso periodo. L’idea dello Sponz film fest è quello di essere itinerante, legato alla terra, alla ritualità. La ferrovia è un elemento portante. C’era questa linea, l’Avellino-Rocchetta che fu costruita anche grazie alla volontà di Francesco De Sanctis che veniva da quei luoghi ma non la fece costruire per suo interesse, perché lui abitava a Roma. È molto divertente leggere un secolo dopo il suo libro “Il viaggio elettorale”, scritto perché proprio in quel collegio fu eletto al Senato, dove si vede che ben poco è cambiato nei paesi che attraversa. Calitri fa parte di uno dei parchi letterari della società Dante Alighieri, il «parco Francesco De Sanctis». La ferrovia univa le persone più dell’alfabero, perché sono zone molto interne e c’erano paesi che si raggiungevano solo a piedi o a dorso di mulo. La ferrovia era l’arrivo del progresso. Poi il progresso pian piano si è tradotto in emigrazione totale e il treno si è portato via tutta la gente. Quel treno fino a quattro anni fa faceva una corsa al giorno e da quattro anni è stato sospeso. La linea costeggia l’Ofanto, l’Aufidus di Orazio…Sergio Leone è nato a Torella dei Lombardi dove c’è la sorgente dell’Ofanto e quindi c’è qualcosa di frontiera, di western nei paesaggi e il treno evoca ancora di più quella dimensione. C’è questo modo di dire a Calitri «Che te ssi sunnatu u trenu?» per dire sognarsi qualcosa di impossibile e così è nato «Mi sono sognato il treno» il sogno del treno. Abbiamo fatto un sacco di lavoro (lo hanno fatto i ragazzi del posto) per avere i permessi per fare i concerti e le passeggiate lungo la ferrovia.

Se la ferrovia non funziona più, che permessi ci vogliono?

Fare una cosa in Italia con tutta la burocrazia che c’è…non puoi far niente perché se non c’è l’agibilità, se succede qualcosa…Dopo il terremoto dell’ottanta le belle vecchie stazioni furono demolite e sostituite da cubi di cemento. Lì non è tanto il terremoto che ha fatto il disastro, quanto la ricostruzione, il fiume di soldi. Dal punto di vista paesaggistico è stato il disastro, una cementificazione inutile, zone industriali che sono sorte fino a che ci sono stati i finanziamenti e poi sono state lasciate inutilizzate. E lì c’era il greto del fiume, le terre più fertili, ma non voglio occuparmi di questo. Abbiamo individuato una stazione dove terremo i concerti e poiché sono zone di frontiera inizieremo con i Los Lobos la frontiera messicano statunitense. Nella terra dei lupi irpini abbiamo portato i los lobos. E poi ci sono i Tinariwen dal Mali e lì vicino Conza c’è un centro di accoglienza, quindi vedi questo paese abbandonato abitato solo da africani. Poi faremo la Transiberiana, la Valigia delle Indie, un concerto sul sogno del treno. Ci sono camminate e incontri in diversi caselli della linea ferroviaria. Inizia tutto il 20 agosto: lo facciamo durare così a lungo perché così si ha tempo di avventurarsi in un territorio poco praticato. Io penso che nel piccolo si celi il gigantesco, però bisogna fermarsi, bisogna star fermi sul microscopio dove scopri un mondo invisibile ma molto molto vivo.

Il programma

Sulla linea Avellino-Rocchetta, dal 20 agosto «Mi sono sognato il treno» con camminate e concerti, incontri con Enrico De Angelis presidente del premio Tenco, Valerio Corsani sul «Treno di John Cage», Transiberiana, la Valigia delle Indie, “]Il treno va a Mosca”. E tanta musica western, emiliana, salentina, dal Mali e dal Messico. Lello Arena parlerà della sua esperienza con il treno, un intervento intitolato naturalmente «Scusate il ritardo». Segue lo Sponz Film Fest (28-30 agosto), il primo festival dei cortometraggi dedicati ai matrimoni, curato da Anna Di Martino della Cineteca di Bologna, con 27 opere da vari paesi (Italia, Spagna, Iran, Finlandia, Francia), serate evento con la versione restaurata di “Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica, “Il tempo dei gitani” di Emir Kusturica (versione integrale), un omaggio al grande documentarista Luigi Di Gianni, i film di matrimoni che si sono celebrati in zona, “Fuoristrada” di Elisa Amoruso, “La settimana della sposa” di Pierpaolo Pirone. La premiazione avrà luogo il 30 agosto e sarà seguita dal concerto di Capossela con la Banda della Posta. “L’esposizione del lenzuolo” di Maria Angela Capossela e Liviana Davì è il corto sull’evento realizzato per la prima volta nella scorsa edizione con la partecipazione delle donne del paese, azione di action painting sull’usanza di esporre il lenzuolo macchiato di sangue dopo la prima notte di nozze,trasformata in un rito di colorazione collettiva. Quest’anno lun lavoro a catenella coinvolgerà le donne di tutto il paese.

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