C’è un termine sin troppo abusato oggi che rischia di svilire il senso originale: iconico. Il percorso semantico di icona e del conseguente aggettivo, dall’originario «immagine» nel greco antico passato al russo, designava un ritratto sacro e stilizzato: le icone della religione ortodossa, ad esempio.

Nelle culture e subculture pop ben studiate dai semiologi iconico è ciò che rimanda a qualcosa che sacro non è, ma immediatamente chiaro, come forza implicita del messaggio veicolato nell’atto del vedere: la foto di Che Guevara accigliato col basco, il volto di Marilyn Monroe, e via citando.

Non «sacro», ma circonfuso comunque di quell’«aura» di cui scriveva Benjamin.

I Pink Floyd, gruppo di per sé «iconico», sono stati maestri di copertine iconiche. Affidandosi allo studio Hipgnosis hanno innescato in milioni di persone curiosità e meraviglia, costruendosi via via attorno un repertorio di immagini «iconiche» di copertina che non si lasciano dimenticare.

Forse la più iconica di tutte è stato il semplice prisma che scompone la luce di The Dark Side of the Moon, ma un secondo posto sul podio indiscutibilmente lo merita una delle cover più azzardate e riuscite della storia del rock: Atom Heart Mother.

Un bell’assurdo, a pensarci: nessun titolo evidente, neppure il nome del gruppo, un prato verdissimo e una mucca pezzata frisona girata, che osserva perplessa chi sta scattando la foto.

Nel retro copertina le mucche diventano tre, lo sguardo si triplica. L’animale meno «rock» che possa venirvi in mente diventa iconico, non si può non ritrovarsi con la curiosità di ascoltare cosa contenga l’oggetto del mistero agreste.

Atom Heart Mother è uno dei lavori discografici preferiti da milioni di fan della band. Eppure, singolare pendant, è detestato con eguale virulenza dai membri della band. Forse il lavoro più assente dai palchi, dopo la prima promozione funestata da mille incidenti.

Segna uno spartiacque importante tra la prima e la seconda fase della vicenda creativa floydiana. È un lavoro di allucinata magniloquenza, coinvolge nella suite che intitola un’orchestra sinfonica e un coro che «recita cantando», ha momenti di lancinante psichedelia, lì e nella «colazione psichedelica di Alan» a chiudere.

A ricostruirne nel dettaglio scaturigine, evoluzione del progetto, costruzione, con un piglio quasi romanzesco (ma è tutto documentato) è il giornalista e scrittore Giovanni Rossi in Atom Heart Mother/Il cuore nuovo dei Pink Floyd (Tsunami). Dopo i lavori su Roger Waters e su Animals, un altro tassello fondamentale.