Samus Aran o dell’indecifrabile. Celata dalla sua armatura aliena completa realizziamo che Samus è una donna solo quando si estingue nel Game Over e non percepiamo le sue emozioni a meno che non siano estreme, come l’orrido e tenero trasporto materno che ella provò per la larva di un parassita letale o la paura, che forse è solo quella di chi gioca con quest’ineffabile eroina di Nintendo, in prima o in terza persona, avvinto al suo algido corpo corazzato di cacciatrice di taglie divenuto nel corso del tempo il vettore di avventure spaziali numeriche angoscianti quanto formidabili.

Di paura ce ne è molta -lo suggerisce d’altronde il titolo- in Metroid Dread, nuova impresa di Samus Aran per Switch, un ritorno alle due dimensioni a scorrimento laterale dopo le derive in soggettiva della trilogia Prime. Si tratta del seguito diretto di Metroid Fusion, uscito nel 2002 per Game Boy Advance, quindi il quinto episodio di una saga bidimensionale la cui narrazione prosegue con toni sempre più cupi. Non siamo entro i confini specifici dell’horror, nemmeno del fanta-horror di un Dead Space, semmai entro quelli di una fantascienza della tensione, perché la paura in Metroid sorge da un dilaniante senso di solitudine e mistero, dalle ambientazioni ostili, dall’idea che i pianeti desolati e rotti dove si svolgono le derive di Samus siano il luogo dal quale si può propagare l’annichilamento di una galassia la cui civiltà tuttavia non scorgiamo mai (tranne che in Other M, esperimento bizzarro non del tutto riuscito ma più che gradevole), perché ella vaga sempre ai margini dell’universo.

In Metroid Dread atterriamo su ZDR, mondo un tempo sede di un’illuminata civiltà estintasi nella ricerca di un utopico assoluto tecno-filosofico, e subito siamo ridotti allo stremo da un nemico dalla potenza smisurata che ci precipita sconfitti nel profondo di cave ghiacciate o ardenti, ruderi metallici o selve intossicate e dall’abisso comincia la lenta, durissima, rivalsa di Samus, alla ricerca del suo potere perduto e di quello terribile finora mai espresso.
Così ci nascondiamo da entità robotiche impazzite, affrontiamo creature abnormi in tese e prolungate tenzoni, esploriamo labirinti che si rivelano in maniera graduale con tutta la loro crudeltà strutturale, sgomentandoci, finché con la prassi e l’accrescimento del potere offensivo e tattico non riusciamo a illuminare l’ignoto con la conoscenza e la fatica, rischiando tuttavia di diventare mostri più spaventosi di quelli ai quali diamo la caccia.

Siamo inoltre turbati dalla difficoltà necessaria (ma parzialmente opzionale) per ottenere la forza definitiva, ovvero trovare tutti i potenziamenti celati nei meandri di ZDR e completare così il gioco al 100%, perché per ottenere qualcuno di questi è necessario un virtuosismo digitale estremo e nessun errore è consentito, sorgendo così una miscela emotiva di frustrazione da fallimento e delizia trionfale per l’eventuale successo. Ma gli immani scontri contro creature all’apparenza imbattibili e prove di abilità al cardiopalma ci trasformano e cambiano la nostra confidenza con Samus, rendendoci infine di nuovo implacabili, certi della nostra e sua forza, fino all’epica conclusione.
Tra i più ispirati e coinvolgenti viaggi di Samus, Metroid Dread è un’avventura disperata ed esaltante che richiede tempo, passione e dedizione, spaventosa sia con i suoi minacciosi silenzi sia con i suoi cacofonici, batterici, suoni alieni e meccanici. Un’altra conferma che Samus Aran, dolente eroina «dalla trista figura» è comunque una delle più fulgide anche se oscure stelle della galassia di Nintendo.