«La riforma della giustizia è un percorso già iniziato e andrà a compimento nel Consiglio dei ministri del 29 agosto». Così ieri Matteo Renzi, esagerando un po’. La riforma – generale! – della giustizia l’aveva infatti annunciata per giugno, ma a giugno (il 30) era riuscito solo a presentare le «linee guida» che poco alla volta stanno prendendo forma sul sito del ministero. Su quella traccia il ministro Andrea Orlando ha registrato le opinioni della maggioranza e anche dell’opposizione, nonché di magistrati e avvocati. E allora il 29 agosto vedranno la luce i primi testi di legge. Dal doppio vertice di emergenza con Draghi e poi con Napolitano, Renzi ha tratto la convinzione che un intervento strutturale sulla giustizia civile viene considerato assai più importante per favorire la ripresa economica dell’Italia, più importante della decantata riforma costituzionale. Per questo si partirà da lì, dalla giustizia civile.

L’obiettivo del governo è quello di ricondurre la durata media di una causa civile nei tempi europei. L’attenzione non è tanto ai disagi delle famiglie o dei privati, quanto al peso della giustizia lenta sulle imprese. Lo conferma la tabella pubblicata dal ministero della giustizia, dove si mettono a confronto i tempi necessari alle imprese per recuperare un credito passando per i tribunali: siamo sui novecento giorni che è quasi il triplo del tempo necessario in Francia, Germania, Spagna o Svezia. «Allo stato attuale abbiamo cinque milioni di processi civili fermi con una media di 940 giorni per una prima definizione e tutto questo è inaccettabile», ha detto sempre ieri Renzi. L’arretrato è un peso insostenibile, a quello indicato dal premier vanno aggiunti i circa 400mila processi arrivati alla fase dell’appello. Per aggredirlo, come misura d’emergenza, il Consiglio dei ministri varerà un decreto legge. Che conterrà la tanto attesa «degiurisdizionalizzazione», parola terribile per un concetto semplice: si cercherà di passare a collegi arbitrali e a conciliazioni davanti all’avvocato per la maggior parte delle cause pendenti. Per il futuro servirà invece un disegno di legge ordinario, o una legge delega per dare forma alla nuova giustizia civile all’insegna della «semplificazione» (le proposte concrete vanno dalla videoconferenza alla possibilità per l’avvocato di sentire i testimoni fuori dal processo, le liti saranno disincentivate e l’esecuzione accelerata; il cosiddetto «processo telematico» nel primo mese di applicazione starebbe già riducendo i tempi di emissione dei provvedimenti esecutivi).

Ma gli argomenti più spinosi restano ancora da definire in concreto: il ministro si è dato tempo fino a mercoledì prossimo per completare l’illustrazione delle schede. Sulla giustizia civile Renzi non dovrebbe avere problemi a replicare il «metodo senato», cioè a ottenere la collaborazione di Forza Italia, soprattutto perché quelle misure vengono presentate come indispensabile per fronteggiare la crisi. Ma sulla giustizia penale le richieste pesanti di Berlusconi mettono a rischio quella «riforma non divisiva» che pure piacerebbe al Quirinale. Le prime scintille sono già in calendario, visto che alla ripresa al senato approderà quella legge comunitaria dove alla camera è stata inserita la responsabilità civile diretta dei magistrati con un blitz Lega-Fi. Le proposte di Orlando alzano la soglia della rivalsa sul magistrato e la rendono in certi casi obbligatoria, vanno cioè incontro alle richieste dei berlusconiani che però si trovano a trattare dalla posizione di forza di chi ha già ottenuto un primo sì a misure fortemente punitive per le toghe.

Le prossime novità saranno sul Csm, dove il ministro ha in mente di introdurre il panachage nel legge elettorale per limitare il peso delle correnti, l’incendiario tema delle intercettazioni e i procedimenti disciplinari per i magistrati ordinari, dove sarà prevista una specifica sezione per giudicare le toghe. Così com’è stato anticipato ieri per i magistrati contabili e amministrativi: è il principio del «chi nomina non giudica».