Napoli città d’arte, luogo che ha un patrimonio artistico invidiabile spalmato tra monumenti, chiese e musei. Ma ha avuto spesso un andamento altalenante in quanto alla creazione di eventi culturali legati all’arte, a mostre di respiro europeo, a interventi e installazioni che hanno lasciato il segno, a presenze di artisti internazionali. Se si escludono gli eventi legati alla pop art americana allestiti da Lucio Amelio negli anni ’70, le mostre kolossal del Museo di Capodimonte dedicate a Caravaggio, al ‘600 e al ‘700, le costose installazioni d’autore natalizie a Piazza del Plebiscito nell’era bassoliniana, da alcuni anni si cerca di fare di necessità virtù sia a livello di pubblico che di privato, si vivacchia tra mostre di buon livello e altre irrilevanti, tra qualche evento sofisticato e qualcuno inutile e pompato, tra spazi istituzionali (il Madre regionale, il Pan comunale) e gallerie private (soprattutto il fantasioso e coraggioso Peppe Morra, ma anche Laura Trisorio, Lia Rumma, Alfonso Artiaco).

Eppure c’è la possibilità di ritagliare qualche percorso artistico inedito, di richiamare l’attenzione su un segmento della produzione contemporanea, su artisti meno sponsorizzati di altri ma importanti sul piano della ricerca e della sperimentazione. Lo sta dimostrando un nuovo spazio situato tra Via Costantinopoli e Piazza Bellini nel cuore del centro storico culturale, che di sera diventa uno dei punti nodali della movida partenopea. Il Nea creato e gestito da Luigi Solito e Bruno La Mura, è uno spazio che propone opere di grandi artisti nazionali e internazionali della seconda metà del Novecento, riservando allo stesso tempo la giusta attenzione verso i nuovi talenti. Ma comprende anche un progetto editoriale e un programma di attività trasversali: performance teatrali, laboratori per bambini, reading, presentazioni editoriali, videoproiezioni, design e architettura e rassegne dedicate alla musica di qualità. E così mentre anche a Napoli si consuma in questo periodo la «warholmania» (una mostra al Pan in contemporanea con quelle di Roma e Milano), allo Spazio Nea si è svolta con successo la mostra «Le Metamorfosi e il simbolo animale» in due parti track 1 (dal 13 marzo al 15 aprile) e track 2 (dal 18 aprile al 27 maggio) curata da Graziano Menolascina.

Sono tracks, tracce, due atti di un unico progetto che coinvolge artisti di rilievo internazionale nel panorama dell’arte contemporanea, come spiega Menolascina, critico, curatore di mostre ed esperto di arte contemporanea barese: «Più che un curatore mi considero un regista dell’arte, ho lavorato da giovane con Luca Ronconi e quest’esperienza mi ha segnato. Con l’arte mi piace raccontare, assemblare le immagini e quindi gli artisti in funzione del racconto, costruire quasi uno spettacolo teatrale ‘statico’, dare risalto allo stile, all’epoca, alla tecnica degli artisti del periodo dagli anni ’60 al 2000 che maggiormente mi interessa».

Del titolo del progetto dice: «Due poli, una continua danza tra progresso e regressione, è qui che si colloca il paesaggio delle metamorfosi umane, osservate e sperimentate dagli artisti in mostra con varie tecniche e linguaggi, dalla pittura, alla fotografia, dalla scultura al video, all’installazione. Nella seconda parte ci sono artisti che in modi diversi si sono interrogati sul tema dell’identità e delle mutazioni che allontanano l’uomo dalla sua natura originaria».

Il simbolismo evocativo di Andrea Fogli, i lavori fotografici di Matteo Basilè, le sculture di Isabella Nurigiani, i materiali atossici di Yo Akao, il ponte tra mondo arcaico e il nonsense delle avanguardie storiche di Vettor Pisani, lo strumento filmico di Matthew Barney, le metamorfosi reali e futuribili di Robert Gligorov, l’autoritratto di Urs Lüthi, il travestimento del giapponese Yasumasa Morimura, il «realismo cinico» di Yue Minjun, gli esseri deformati di Danilo Bucchi, la quotidianità tragica e alienante di Franco Menolascina, il confronto tra dimensione interiore ed esteriore di Felice Levini. I temi dell’identità, della fusione di sacro e profano, di mito e favola tornano nei lavori di Luigi Ontani, mentre Michele Zaza approda all’origine, a una dimensione mitica dell’uomo in opere dove lo spazio reale diventa luogo sacro, Alessandro Boezio presenta corpi che sono il risultato di improbabili innesti dove gli arti si confondono con membra di animali, Silvano Tessarollo indaga la condizione dell’individuo contemporaneo, tra dimensione umana e disumana, tra reale e virtuale, Lamberto Teotino medita sul presente offrendo una possibilità condivisa di guardare oltre il senso di sospensione e di ambiguità del reale.

E ancora gli scatti di Marcello Di Donato, rischiarati da una luce che sembra provenire da tutte le direzioni, l’uso provocatorio di Andres Serrano di materiali-simbolo della vita come sangue, urina e latte, l’esplorazione dell’interiorità dell’individuo che fa Bill Viola con il video, l’analisi di Gilbert&George delle paure, ossessioni, emozioni che provano gli individui di fronte a contenuti forti quali sesso, razza, religione e politica, la provocatoria ricerca di Gino De Dominicis sui temi della morte e dell’immortalità fisica, della realizzazione dell’improbabile e della confutazione dell’irreversibilità dei fenomeni. Ma prosegue l’esplorazione dell’arte contemporanea e della sua visione delle metamorfosi umane in un viaggio tra radici e contemporaneità.