Metamorfosi del corpo, i falsi miti del presente
A teatro «Age of content» è la nuova creazione del collettivo (LA) HORDE, presentata al festival Bolzano Danza
A teatro «Age of content» è la nuova creazione del collettivo (LA) HORDE, presentata al festival Bolzano Danza
Age of content. L’età del contenuto. I titoli che il collettivo (LA)HORDE, alla guida dal 2019 del Ballet National de Marseille, sceglie per i suoi spettacoli non hanno mai una piatta evidenza di lettura. Nascono da interrogativi che affondano il pensiero e l’immaginario della messa in scena dentro la società contemporanea vissuta da chi è giovane oggi. Già nel 2022, mentre il loro corrosivo Room with a View continuava a conquistare le platee di mezzo mondo, Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel, i fondatori di (LA)HORDE, pensavano a come scrivere un lavoro che partisse da una questione: cosa significa oggi fornire contenuti? Tutti e tre sotto i 40 anni, vengono da studi di cinema, arti visive, scenografia, ma il corpo è sempre stato centrale nella loro ricerca.
IL FESTIVAL Bolzano Danza, che nella direzione conclusa quest’anno di Emanuele Masi ha voluto il Ballet National de Marseille di (LA)HORDE come compagnia associata per il trienno 2022-2024, ha dato a Age of Content le due serate finali della manifestazione. Spettacolo sferzante nella vigoria eccitante di movimento (e non di superficie in ciò che esprime) con cui gli eccellenti giovani interpreti hanno trascinato il pubblico per ottanta minuti.
«Il corpo» dichiarano i tre autori di Age of Content «è un involucro sensibile che reagisce al mondo presente popolato di poesia, di violenza, di sensualità e sessualità. Come le immagini e le storie che scrolliamo sui nostri telefonini». Nello spettacolo, diviso in tre parti con una drammaturgia visiva e di senso articolata, il corpo dei diciassette danzatori incarna, attraverso le differenti qualità di movimento scelte anche in rapporto alla scenografia e alla musica, temi attualissimi. I «contenuti forniti» si nutrono della violenza di ciò che gira in rete (prima parte), prendono forma dai movimenti a scatti degli avatar e dei NPC (non playing characters) dei videogiochi, danno sfogo a una coreografia travolgente che libera il pensiero.
ENTRIAMO nel dettaglio. La prima parte vede uscire dalla tenda di fondo un’auto con i fari accesi puntati verso il pubblico. Macchina infernale, senza guidatore, telecomandata, vuota al suo interno. Sul tetto un danzatore con il viso coperto da stoffa trasparente, felpa con cappuccio, pantaloni e scarpe da ginnastica. L’auto è un ribelle oggetto di conquista che avanza, arretra, butta per terra chi prova a dominarla. In scena entrano altri danzatori, tutti vestiti uguali, uniformati nel desiderio crudo di possesso. I corpi sono atletici, volano su e giù dall’auto spaventosa, in lotta uno con l’altro strangolandosi, in battaglia contro la macchina stessa, una scena in cui non esiste pietà, ma furioso gioco di supremazia. Immaginario dal videogioco Grand Theft Auto (GTA) – (furto d’auto con scasso).
Diviso in tre parti, lo spettacolo racconta – anche attraverso scenografia e musica – temi attualissimi
Parte due: A sinistra i danzatori salgono su una passerella tramite una scala. Da lì cantano, urlano, contemplano il «content» offerto sotto. I danzatori ora sono a viso scoperto e imbambolato, con costumi colorati. La gestualità è rubata agli NPC dei videogiochi e ai robot della serie tv Westworld. Un contenuto che sembra uscito anche da tik tok. Nella musica si captano parole: «Let’s dance for a while», «We don’t have the power but never is never». Il movimento non manca di crudeltà, quando i corpi si fanno più vicini. A turno c’è chi danza con la bocca tirata in una smorfia dalle mani di un compagno che poi a sua volta è straziato da qualcun altro. Il gioco è sempre visivo, le vittime ci mettono un attimo a diventare carnefici: il contenuto specchio di un fronteggiarsi virtuale incide sulla vita?
LA RELAZIONE cambia rotta. I corpi ora si intrecciano a coppie, a gruppi: il ritmo reiterato delle spaccate a terra, del battere il bacino è una variazione incalzante dell’unione sessuale, di freddi e meccanici rapporti carnali. Una libertà del corpo che però via via si trasforma, aprendosi a una gioia più umana e personale nella parte tre. Pur avendo assonanze dichiarate con danze virali come Kiki Challenge, l’ultima parte dello spettacolo è anche un omaggio a Lucinda Childs di cui il Ballet National de Marseille del collettivo (LA)HORDE ha danzato più di un lavoro. Vibra sull’inconfondibile The Grid di Philip Glass usata in uno degli spettacoli cult di Childs: Dance. Gli interpreti di Age of Content girano su stessi, rotolano per terra, attraversano lo spazio con energia contagiosa. Ed è così che il corpo, «quell’involucro sensibile» che porta in scena lo spaccato di un’epoca, visualizza attraverso la danza la relazione della società con il virtuale, mostrandone i falsi miti senza demonizzarlo, ma nemmeno lasciandogli carta bianca. Uno sprone a un pensiero mai passivo nelle mani delle ultime generazioni.
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