Se davvero esiste, è l’archivio di Totò Riina, volatilizzatosi trent’anni fa dopo la mancata perquisizione del covo di via Bernini a Palermo da parte dei Ros – corpo guidato all’epoca dal generale Mori poi assolto nel processo – l’obiettivo sui cui puntano gli inquirenti dopo la cattura di Matteo Messina Denaro. A Campobello di Mazara (Tp), in un appartamento in via Cb31 nel centro del paese dove vivono meno di 12 mila abitanti tra negozi e supermercati, gli investigatori hanno trovato il nascondiglio dell’ex primula rossa: ma di quel “tesoro” che potrebbe rilevare tanto dei misteri irrisolti della stagione stragista dei corleonesi al momento non ci sarebbe traccia. Il sospetto è che ci siano altri covi.

PER SEI MESI ALMENO, il “padrino” avrebbe vissuto in questa casa dove sono stati trovati profumi di lusso, indumenti e occhiali griffati, pillole per aumentare le prestazioni sessuali, profilattici, arredamento raffinato. Tutto è in fase di catalogazione. La casa, hanno appurato gli uomini del Ros, è intestata ad Andrea Bonafede, quello vero. Nome e cognome usati da Messina Denaro quando è stato catturato nella clinica privata La Maddalena, dove era sotto trattamento chemio per un tumore.

Sono ore cruciali per gli inquirenti che stanno cercando di mettere a posto i tasselli di una latitanza durata trent’anni, fatta di connivenze, affari, intrecci con servizi deviati e massoneria, rapporti con ambienti politici. Comincia ad allungarsi la lista degli indagati: dopo l’autista incensurato Giovanni Luppino, finisce sotto inchiesta anche il medico di Campobello di Mazara che aveva in cura Messina Denaro: si chiama Alfonso Tumbarello, 70 anni, andato in pensione lo scorso dicembre.

Fra i suoi assistiti c’è anche il vero Andrea Bonafede, ora indagato per associazione mafiosa, di cui conosceva perfettamente le sembianze e al quale avrebbe prescritto diversi farmaci. Sarebbe stato proprio Bonafede a indicare agli investigatori il covo di Messina Denaro. Parlando con i pm, l’uomo che ha “prestato” l’identità al boss avrebbe fatto mezze ammissioni, dicendo di conoscere il capomafia fin da ragazzo e di essersi prestato a comprare, con i soldi del latitante, la casa del paese che è stata subito piantonata e setacciata da cima a fondo dai Ros, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido presente durante le perquisizioni.

«RITENIAMO che sia un’abitazione utilizzata con continuità nell’ultimo periodo, un’abitazione di stabile occupazione al cui interno pensiamo di trovare elementi significativi», ha detto il generale Pasquale Angelosanto, capo del Ros. È possibile che in questo piccolo paese nessuno abbia riconosciuto in quell’uomo che si muoveva in modo disinvolto il mafioso delle stragi del ’92 e del ’93? Il capo della Procura di Palermo, Maurizio De Lucia, che coordina l’indagine, è netto: «Abbiamo le nostre riserve sul fatto che possa essere passato inosservato a Campobello di Mazara – spiega il magistrato – Non c’è molta differenza tra le immagini che avevamo a nostra disposizione e l’uomo che abbiamo individuato e poi arrestato. Ma non abbiamo ricevuto alcun segnale dal territorio, del resto non ci aspettavano gare in questo senso». E il boss non avrebbe fatto granché per mantenere un basso profilo. «Riteneva che il rischio di essere scoperto fosse limitato. Era vanitoso, si curava molto, ama le buone relazioni con la gente… Altri latitanti erano lontanissimi dal farsi fotografare, lui no, ma i profili del carattere hanno inciso».

QUANDO È STATO arrestato Messina Denaro aveva un borsello, dentro c’erano dei pavesini, una piccola rubrica e un telefonino. Un altro cellulare è stato trovato nella Fiat Bravo, col quale Luppino lo avrebbe accompagnato da Campobello a Palermo per le visite nella clinica privata. Nel borsello c’era anche una chiave, gli investigatori hanno scoperto che apriva un’Alfa Romeo, che le videocamere piazzate a Campobello hanno ripreso mentre usciva più volte dal paese.

IL BOSS ORA si trova nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ieri ha firmato il decreto per il 41bis. Per i medici de La Maddalena, che l’hanno operato e che ne seguivano le terapie, il boss non sarebbe in buone condizioni di salute e non avrebbe una lunga aspettativa di vita. Vittorio Gebbia, responsabile dell’oncologia medica, ha visitato il boss, alias Andrea Bonafede, nel gennaio 2021 prima di una valutazione multidisciplinare chirurgica, dopo l’operazione per un «adenocarcinoma mucinoso del colon» nell’ospedale di Mazara del Vallo avvenuta il 13 novembre 2020. La sua valutazione parlava di condizioni generali buone, sintomatologia caratterizzata da astenia, cioè debolezza generale e riduzione della forza muscolare.

Il boss aveva già subito, non si sa quando e dove, un intervento di ernioplastica inguinale e uno di emorroidectomia. «Le sue condizioni sono gravi – dice Gebbia – la malattia ha avuto un’accelerazione negli ultimi mesi. Non lo definirei un paziente in buone condizioni di salute. Sono certo che continuerà a ricevere tutte le cure di cui ha bisogno. Ieri i carabinieri mi hanno chiesto se posticipare di tre, quattro giorni il ciclo di chemioterapia che avrebbe dovuto fare qui avrebbe avuto conseguenze e io ho firmato l’autorizzazione, perché un ritardo così contenuto non avrà alcun effetto sul suo stato di salute».

Il medico sostiene che la prognosi infausta è stata «accolta con grande dignità» dal paziente che aveva la «piena consapevolezza delle sue condizioni di salute» e «nessun atteggiamento che potesse destare sospetti» sulla sua vera identità. Dopo la valutazione multidisciplinare chirurgica e la risonanza magnetica che scopre le metastasi al fegato gli specialisti scrissero che «il quadro depone per malattia ad alto rischio». Dopo i 4 cicli di chemio il boss venne operato per la resezione delle metastasi al fegato alla Maddalena il 4 maggio 2021. Il mafioso era ottimista. Gentile, scherzava coi chirurghi: «Forza che ce la facciamo. Mettetemi a posto che devo tornare in palestra». L’operazione durò tre ore. Al risveglio chiese ai medici: «Avete tolto tutto?». Dopo l’operazione ricominciò le sedute di chemioterapia. Interrotte dal blitz del Ros.