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Messico, uccisa una sindaca di sinistra

Messico, uccisa una sindaca di sinistraMessico, il funerale di Gisela Mota – Foto Zuma

Morelos Gisela Mota, 33 anni, è stata ammazzata a Temixco il giorno dopo l’assunzione d’incarico

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 5 gennaio 2016

Aveva assunto l’incarico venerdì scorso, la giovane sindaca Gisela Mora. Il giorno dopo, i sicari l’anno ammazzata nella sua casa di Temixco, nello stato messicano di Morelos (85 km a sud della capitale Città del Messico). Mora, 33 anni, apparteneva al partito di centrosinistra Prd, il Partido de la Revolucion Democratica. La polizia ha ucciso due dei presunti assassini e ne ha arrestati altri tre. I sicari – fra loro anche una ragazza e un minore – apparterrebbero al cartello dei Los Rojos: la sindaca non avrebbe accettato le regole del gioco politico imposte dai narcos in Messico.

Dopo l’assassinio, i sindaci progressisti hanno chiesto alle autorità nazionali di essere protetti. L’anno scorso, molti di loro hanno perso la vita, stritolati dall’intreccio tra mafia e politica che governa il Messico: uno stato fallito, gridano nelle piazze le opposizioni di sinistra, mostrando le cifre di morti e scomparse. Per la sua vicinanza con la capitale e per il buon clima, Temixco (1,7 milioni di abitanti) fa parte del corridoio turistico di Morelos ed è considerata una zona residenziale per le classi agiate del Distrito Federal. Allo stesso tempo, per la sua vicinanza a zone ad alta densità criminogena come il Guerrero e il Michoacan, Morelos ha fatto registrare nel 2013 la tassa di sequestri più alta del Messico: 8,5 per ogni 100.000 abitanti. Il crimine è egemonizzato dalle bande di narcos: in lotta fra loro o uniti da momentanee alleanze – come sembra essere ora il caso dei Los Rojos, Los Ardillos e dei Guerreros Unidos, insieme nel cartello dei fratelli Beltran Leyva. Le cifre ufficiali dicono che a Morelos, nel 2015, ci sono stati almeno 449 omicidi, 24 in più del 2014. I femminicidi sono stati in totale 49 , quattro in meno dell’anno precedente.

Il governo di Enrique Peña Nieto ha istituito il Comando unico, che pone tutte le forze di polizia di uno stato sotto l’autorità federale. Un palliativo messo in campo dopo la vicenda dei 43 studenti normalistas di Ayotzinapa, sequestrati il 26 settembre del 2014 nello stato del Guerrero. I ragazzi vennero presi in consegna dalla polizia locale che poi li mise nelle mani dei narcotrafficanti dei Guerreros unidos, il cartello dominante attualmente in quella zona. Le fosse comuni venute alla luce durante la loro ricerca hanno costretto i media a dar conto delle sparizioni forzate, una realtà in crescita soprattutto nelle zone più ricche di risorse. Le vittime sono prevalentemente giovani maschi poveri fra i 18 e i 30 anni.

Secondo i dati diffusi dal governo, dal 2006 sono scomparse almeno 27.000 persone: centinaia di giovani senza futuro che finiscono nelle fila dei narcos, e donne, oppositori politici e migranti centroamericani, che cercano di passare la frontiera con gli Stati uniti. Cifre che indicano e il fallimento delle politiche securitarie, foraggiate dagli Usa per la «lotta al narcotraffico» e il fallimento delle politiche neoliberiste prima di Felipe Calderon e ora di Enrique Peña Nieto.

Le organizzazioni criminali «sono fuori controllo», ha scritto The Economist dopo la scomparsa dei 43. Il mix tra politiche securitarie e narcoviolenza mira a lasciar manovrare il manovratore e a dissuadere le organizzazioni popolari e i giornalisti. Secondo il rapporto dell’organizzazione Reporters Sans Frontières per il 2015, «in Messico non esiste nessun luogo sicuro per i giornalisti»: su 110 giornalisti ammazzati nel mondo l’anno scorso, 8 erano originari del Messico, «il paese più mortifero per la professione». Gli stati di Veracruz e Oaxaca sono i più pericolosi. L’assassinio di Ruben Espinosa, reporter della rivista Proceso, e di altre 4 attiviste, torturati e uccisi nella capitale dopo essere fuggiti da Veracruz il 31 luglio scorso, ha chiamato in causa le responsabilità del governatore Javier Duarte. «Chi ha assassinato mio padre ha usufruito della complicità di diversi poliziotti che gli hanno dato ore per scappare e che per mesi non hanno esaminato i video del sequestro», ha detto Jorge Sanchez, figlio dell’editore della Union, amico di Espinosa, anch’egli ucciso un anno fa. Su 16 assassinii di giornalisti commessi a Veracruz, 14 sono stati compiuti durante l’amministrazione Duarte: per la maggior parte, impuniti, benché la Comision Estatal para la Atencion y Proteccion de Periodistas (Ceapp) percepisca 21 milioni di pesos ogni anno.
«Giustizia per Gisela», gridano ora i sindaci di sinistra, e il loro messaggio viene ripreso dalle reti sociali.

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