Messico, la polizia spara ai maestri, dieci morti
Oaxaca Centinaia di intellettuali scrivono al governo
Oaxaca Centinaia di intellettuali scrivono al governo
La polizia spara, in Messico, contro i maestri che manifestano a Oaxaca, nel sud del paese. Secondo il bilancio ufficiale, vi sarebbero 6 morti, 51 feriti e 25 detenuti. Le cifre delle organizzazioni popolari parlano invece di 10 morti, oltre un centinaio di feriti e di arresti indiscriminati. I maestri hanno pubblicato i nomi di 9 persone uccise, la decima non è stata ancora identificata.
La polizia ha ammesso di aver usato armi da fuoco nella notte di domenica, ma ha accusato i maestri di aver sparato per primi e di essere “infiltrati da gruppi radicali”. I manifestanti hanno invece denunciato la presenza di cecchini e di agenti con armi di grosso calibro fin dall’inizio della mobilitazione. Con fotografie e testimonianze hanno smontato la versione della polizia, secondo la quale “solo alla fine, quando già gli agenti si stavano ritirando” sarebbe arrivato un “gruppo di appoggio della Polizia federale che portava armi di grosso calibro”.
Sabato scorso, i maestri della Coordinadora Nacional de Trabajadores del Estado (Cnte) di Oaxaca hanno realizzato marce e vari blocchi stradali in diversi punti della strada statale, appoggiati da operai studenti e altri settori sociali, colpiti dalle politiche neoliberiste di Henrique Pena Nieto. Prima degli scontri di domenica, 500 maestri sono stati attaccati da 800 effettivi della Polizia federale a Salina Cruz, Oaxaca, e hanno denunciato “la guerra sporca” delle autorità locali nei loro confronti, condotta attraverso false informazioni.
Dal 15 maggio, la Coordinadora è sul piede di guerra in difesa della scuola pubblica, e ha realizzato presidi e marce anche nella capitale, appoggiate dalle organizzazioni degli studenti e dei familiari. Nonostante la linea dura scelta dalle autorità statali e federali che hanno minacciato di sostituire i docenti in lotta, in alcuni stati lo sciopero ha interessato il 95% degli istituti prescolari, elementari e secondarie.
La Cnte ha una grande forza di mobilitazione, cresciuta nel corso degli anni. Conta circa 200.000 iscritti in tutto il Messico, 80.000 dei quali solo in Oaxaca. E’ uno dei sindacati latinoamericani più combattivi che sta portando avanti una lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della categoria, ma raccoglie anche istanze politiche più generali che premono per una profonda riforma strutturale.
Con il pretesto di “alzare la qualità educativa del paese”, la riforma educativa del 2013, promossa da Pena Nieto, ha imposto la valutazione obbligatoria dei maestri come condizione per l’accesso al lavoro, a un miglior salario e ad avanzamenti di carriera e per la loro permanenza nel sistema educativo. I docenti chiedono, fra l’altro, di derogare a questa disposizione, che ha provocato migliaia di licenziamenti (e 9.000 posti di lavoro sono a rischio).
Centinaia di intellettuali e movimenti sociali del Messico e di diversi altri paesi (dall’America latina agli Stati uniti all’Europa) hanno sottoscritto un appello per appoggiare le rivendicazioni dei maestri. Il documento afferma di aver verificato l’esistenza di “una campagna di discredito” proveniente da vari fronti contro gli insegnanti che contestano la riforma e chiedono prima di tutto un tavolo di dialogo. Rigetta “la brutale repressione che il governo federale sta attuando contro maestre e maestri messicani”, chiede a Pena Nieto di rispondere alle “giuste rivendicazioni” della Cnte, di “liberare i prigionieri politici” e di garantire la sicurezza “delle migliaia di persone che si sono mobilitate contro la riforma educativa”.
Cancellare il diritti legittimo alla protesta sociale – dice il documento – “è senz’altro la caratteristica principale di uno Stato autoritario”.
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