Messel, manualità industriosa del nemico di Beaton
Hugo Rumbold, costumista e scenografo di un certo successo nell’Inghilterra del primo Novecento, amava vestirsi in panni femminili non solo in occasione di feste in maschera ma anche per affrontare normali contingenze quotidiane. Le sue escursioni nei guardaroba delle amiche sono testimoniate da varie fonti: il biografo di Noël Coward riportava le lamentele di Dorothy Fellowes-Gordon, ereditiera e cantante lirica, che una sera del 1926 a Venezia si vide mettere sottosopra l’armadio da Rumbold intenzionato a percorrere le calli impersonando una immaginaria scrittrice spagnola: «ha voluto provare tutto, fino alle mutande. Sai quanto sia meticoloso». Dorothy (Dickie per gli amici) era a Venezia chiamata in veste ufficiale insieme a Elsa Maxwell per rilanciare il turismo al Lido e la comitiva che si erano portate dietro per organizzare feste e balli includeva un giovanotto che stava per prendere il posto di Rumbold sia come stella della scenografia che come occasionale ospite en travesti.
Oliver Messel (1904-’78) era allora intorno ai vent’anni e già nella lista nera del coetaneo Cecil Beaton, che per tuttala vita lo annoverò fra i suoi più amati rivali. Per parte di padre discendeva da una ricca famiglia di banchieri di origine tedesca mentre il nonno materno era Linley Sambourne, uno fra i più prolifici e famosi illustratori di Punch del tardo Ottocento. I primi risiedevano in una casa nel West Sussex in stile neo-Tudor immersa in un sontuoso giardino informale, oggi un gioiello del National Trust. Casa Sambourne, invece, era – ed è tuttora – a Londra, a Stafford Terrace, e si è conservata con i dipinti, i disegni, le chincaglierie di lusso immerse nell’atmosfera intrisa di olio per mobili ed elegantemente claustrofobica, tipica del gusto alto borghese vittoriano (ha fatto da sfondo a un paio di film di James Ivory).
Oliver era bello, bruno, con un fascino faunesco che creava un contrasto seducente con l’innata distinzione sociale e i completi di ottimo taglio. Sotto la guida di Glyn Philpot aveva imparato a fare ritratti ma il suo talento non risiedeva veramente nella pittura quanto in una manualità industriosa. Iniziò a fare maschere di cartapesta dalle espressioni marcate, grottesche e stilizzate, completate con materiali insoliti come gli scovolini da pipa o i fili per l’elettricità che componevano barbe e capigliature. Qualcuno informò Sergej Diaghilev, nel 1925 a Londra per allestire Zephir and Flore con i Ballets Russes, e Messel debuttò sulle scene coprendo i volti delle ballerine che si muovevano nello scenario di Georges Braque. Il successo gli valse una mostra alla Claridge Gallery e le commissioni del bel mondo londinese e dei Bright Young Things: in una delle loro feste ruggenti comparve come la diva del momento, Tallulah Bankdead, nel giardino dell’Eden ingannevolmente nuda e dotata di ciglia enormi che sbattevano tirando un cordone nascosto.
Fu il più grande impresario inglese del momento, C.B. Cochran, a decretare la fama di Oliver Messel, culminata nel 1932 con le scene e i costumi di Helen!, una rivisitazione di Offenbach ideata a Berlino da Max Reinhardt anni prima, e reimpaginata da Messel in un trionfo di drappi bianchi. La stampa e il pubblico andarono in visibilio e a Messel si spalancarono le porte di Hollywood. Fu allora che Beaton cominciò a infastidirsi seriamente. I successi dell’amico in un campo in cui lui stesso si cimentava lo irritavano e arrivò a proporsi con una parcella a ribasso ai produttori che stavano prendendo contatti con Messel. Poi ci si mise di mezzo anche il cuore: Cecil si innamorò di un personaggio difficile quanto ricco, Peter Watson, che invece aveva un debole per Messel. Lo scoppio della guerra interruppe le rivalità e Messel fu destinato con altri artisti famosi al Camouflage Office del ministero della guerra per allestire un altro tipo di travestimento: disegnava ingegnosi scenari che trasformavano casematte e postazioni difensive in locande campestri o in innocue fattorie.
Ma neanche il conflitto mondiale arrestò il mestiere e nel 1944 iniziò a preparare la versione cinematografica del Cesare e Cleopatra di George Bernard Shaw. Coi pochi materiali che le ristrettezze belliche consentivano allestì un Egitto fantastico; ricoprì la magnifica testa di Vivien Leigh con una cascata di coni di cuoio azzurro e riempì il set coi ventagli orientali presi in prestito dalle collezioni famigliari. Dal 1950, per un decennio, si occupò di talmente tanti allestimenti per il festival di Glyndebourne da diventare un’epitome del festival stesso. I suoi scenari e i suoi costumi sono esemplari di un’arte dell’artificio che parte dalle fonti antiche, le travisa con una certa disinvoltura, ma non scade mai nella parodia. In tutti i suoi lavori, fossero le riviste di Cochran, le operette di Ivor Novello, i balletti per Margot Fonteyn o le opere di Strauss o di Mozart, citazioni, colori e materie sono maneggiati con le virtù di una mente settecentesca – elegante, esigente, vivace, sofisticata, non priva di quel distacco che mancava al forse più geniale Beaton.
Nel ’59 ottenne una nomination agli Academy Awards per le scene di Improvvisamente l’estate scorsa ma il destino volle che in quello stesso anno l’Oscar per i migliori costumi andasse a Beaton per Gigi di Vincente Minnelli. Il gusto stava cambiando e i teatri londinesi faticavano a far digerire alle nuove generazioni la grazia georgiana di Messel. Lui sembrò comprendere: prese la palla al balzo e si ritirò a costruire case per miliardari a Barbados.
Gli eventi sociali e familiari contribuirono alla svolta: la sorella, Anne, aveva sposato in prime nozze l’avvocato Ronald Armstrong-Jones e il figlio nato da quell’unione, Tony, dal 1960 era diventato cognato della regina Elisabetta II. Improvvisamente Messel divenne zio acquisito della Principessa Margaret e la clientela venne assicurata sia dai legami sociali al più alto livello sia dal gusto, un gusto che non era forse più apprezzato nei moderni allestimenti teatrali ma restava una garanzia per i facoltosi abitanti dell’isola. Ad Armstrong-Jones, erede del contenuto dello studio di Messel, si deve anche la donazione al Victoria and Albert Museum di centinaia di schizzi, di bozzetti e soprattutto di piccoli teatrini in scala che Messel approntava per presentare i propri progetti-palcoscenici completi di arredi e personaggi lillipuziani, incorniciati da prosceni aulici, con frontoni, busti e finte architetture.
Le sue fatiche da camoufleur sono invece apparse, insieme a quelle di colleghi architetti, pittori e designers, in una mostra del 2016 a Leamington Spa, la cittadina che ospitò il manipolo di artisti con il compito di mascherare punti di difesa armata o crearne di fittizi per ingannare il nemico.
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