Di qui a un mese esatto governo e maggioranza dovranno uscire da una lunghissima ambiguità e dire una parola definitiva e chiara sulla ratifica della riforma del Mes. Dopo una serie di rinvii imposti dalla maggioranza la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha calendarizzato per il 30 giugno la proposta di legge a favore della ratifica. Sono passati due anni e mezzo da quando il Senato, all’epoca del Conte 2, aveva approvato una risoluzione che impegnava il governo a ratificare la riforma del Salva Stati. A marzo dell’anno scorso Draghi aveva annunciato una proposta di legge per la ratifica, poi però, complice lo scioglimento anticipato delle camere, non se n’era fatto niente. Il 30 novembre scorso la camera ha approvato una mozione di maggioranza che, invece, impegna il governo a non firmare la riforma.

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In questa legislatura Pd e Terzo Polo hanno più volte insistito per portare in aula la proposta di legge e alla fine il presidente Fontana ha assicurato che stavolta il dibattito non slitterà: «Abbiamo insistito e Fontana si è preso un impegno», sintetizza la capogruppo Pd Braga. Giorgetti aveva affrontato lo spinoso tema qualche giorno fa, al festival dell’Economia di Trento, lasciandosi aperta ogni strada: «Il Parlamento ha dato mandato al governo di non portare avanti la ratifica. Però potrebbe cambiare idea». Il ministro ha escluso che il governo intenda usare la ratifica come strumento di pressione sulla Ue per ottenere maggiore flessibilità, «noi non ricattiamo nessuno», e si è anche difeso dalle accuse mosse perché l’Italia è l’unico Paese a non aver ancora ratificato la riforma, che però richiede l’unanimità: «Non è l’unico dossier che non va avanti perché altri Paesi non sono disposti a discuterne».

Sulla carta la scelta spetta solo al Parlamento italiano, che ha tutto il diritto di bocciare la ratifica. La realtà è più complessa: l’Italia ha estremo bisogno in questa fase della disponibilità europea. Non tanto per la richiesta di flessibilità sui fondi per la ricostruzione della Romagna, che devono essere esclusi dai conti del Patto di Stabilità: su quella voce non dovrebbero esserci troppi problemi. Le poste in gioco grosse sono la trattativa per la ridefinizione radicale del Pnrr e quella sulle nuove regole del Patto di Stabilità, da definirsi entro il 2023. Va da sé che impedire il varo di una riforma già approvata da tutti gli altri Paesi dell’eurozona sarebbe un pessimo viatico nei rapporti con la commissione e sarebbe ancora peggiore nei riguardi del Consiglio. D’altra parte la Lega, ma in buona misura anche FdI, sono decisi a puntare i piedi su un fronte importante sul piano simbolico quanto su quello concreto. «Una soluzione si troverà», ha assicurato più volte Giorgetti. Il governo ha un mese per trovarla.