Forse senza la crisi di Deutsche Bank del Mes, a Bruxelles, se ne sarebbe parlato solo in separata sede e con la dovuta discrezione. Non che la Ue non voglia a tutti i costi l’unica firma ancora necessaria per far entrare in funzione il nuovo Mes. Ma la situazione nell’intero continente è troppo instabile, la minaccia dei partiti sovranisti troppo incombente, per procedere ruvidamente. E la crisi della Deutsche Bank c’è e senza la ratifica manca la rete di protezione, il Fondo di Salvaguardia.

CERTO, LA PRESIDENTE della Bce Lagarde rassicura, garantisce che la Banca possiede tutti gli strumenti per «fornire liquidità al sistema finanziario dell’Eurozona». Però un accenno chiaro non se lo risparmia, ricordando l’importanza del procedere verso «il completamento dell’unione bancaria».

Chi invece proprio non la manda a dire è il presidente dell’Eurogruppo Donohoe: «È importante la piena ratifica del Mes, per assicurare che il Fondo di risoluzione unico abbia il supporto concordato». Messaggio chiaro ma neppure lui calca troppo la mano, sottolinea anzi che «il come e il quando» della ratifica competono al governo e al parlamento italiani. Le pressioni, insomma, ci sono ma ancora felpate e diplomatiche, tanto da lasciare a Giorgia Meloni margini di manovra. «Il Mes – dichiara la premier italiana nel punto stampa di metà giornata – va discusso a monte e non a valle: nel contesto». Significa che non si può prescindere dalle altre voci che compongono l’Unione bancaria, in particolare la garanzia sui depositi che a Berlino non piace. Ma significa anche che la presidente del consiglio accumula argomenti e merce di scambio per le trattative dei prossimi mesi. Saranno parecchie: l’immigrazione, capitolo sul quale non si concluderà niente fino al prossimo vertice di giugno, la conversione energetica, la revisione dei trattati, il Pnrr che marcia più come un accelerato.

UN’ARMA IMPORTANTE, a Giorgia Meloni, la ha fornita il capo di governo europeo con il quale i rapporti sono sin qui stati i peggiori, il presidente francese Emmanuel Macron. Più precisamente se la sono fornita reciprocamente. Disquisire su chi abbia chiesto per primo il colloquio bilaterale è insensato. Al vertice nei giorni del Consiglio europeo, dopo mesi di gelo, i due litiganti sono arrivati in nome dell’argomento più forte: l’interesse reciproco. Per Macron si tratta di sdoganare come energia pulita il nucleare, in modo da poterlo usare quando i fossili dovranno essere abbandonati. Meloni ha bisogno di poter sostituire i fossili con i biocarburanti senza doversi affidare solo alle auto elettriche. Spalleggiandosi, i due ex rivali un risultato lo hanno ottenuto. «Abbiamo fissato il principio della neutralità tecnologica per cui, tenendo fermi i target, non è un dogma con quale tecnologia ci si arriva. E questo vale anche per il nucleare», spiega la premier italiana. I due Paesi hanno in comune l’interesse in una revisione dei trattati non improntata a un nuovo rigorismo, come vorrebbe il Nord Europa. Infine, sul piano dell’immigrazione, l’appoggio francese aiuta l’Italia a spingere per un intervento europeo in Tunisia, tale da evitare il tracollo del Paese nordafricano e un conseguente esodo biblico alla volta dell’Europa con approdo in Italia. Lunedì il commissario all’Economia Paolo Gentiloni sarà a Tunisi per concordare con il presidente Saied gli aiuti europei da un lato, le riforme in Tunisia dall’altro. Senza un intervento del Fmi non basterà certamente a disinnescare la bomba che si avvicina alla deflagrazione ma per Roma, che dalla crisi tunisina è letteralmente terrorizzata, si tratta comunque di un passo avanti.

A BRUXELLES non si è parlato del capitolo forse più doloroso, certo il più critico, per l’Italia: i progressi, anzi i mancati progressi del Pnrr. La premier è convinta, peraltro a ragione, che non ci sia alcun rischio di perdere la prossima tranche. Ma ammette i ritardi, addossandone la responsabilità al governo precedente: «Abbiamo ereditato una situazione che richiede di lavorare molto velocemente. È quello che stiamo facendo insieme alla Commissione».

Ma i risultati di tale lavoro si dovranno vedere presto. Per questo si fa sentire lo stesso capo dello Stato Sergio Mattarella, citando Alcide De Gasperi: «È il momento di mettersi alla stanga. A partire dall’attuazione del Pnrr».