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Merola e Digos sgomberano Atlantide

Merola e Digos sgomberano Atlantide

Bologna Dopo un anno di trattative, blitz all’alba. Oggi alle 15 corteo di protesta. Duro l’assessore alla cultura Ronchi: «Patti non rispettati». E lancia un progetto per «mandare a casa i dirigenti del Pd, una disgrazia per la città». Le attiviste: «Saremo ovunque»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 10 ottobre 2015

Sgombero all’alba per Atlantide. Alle sei del mattino di ieri forze dell’ordine in assetto anti sommossa hanno provveduto a liberare lo spazio bolognese «da persone e cose», così come previsto nell’ordinanza di sfratto del sindaco di Bologna, il democratico Virginio Merola. Nove attiviste si sono fatte portare fuori di peso dagli agenti. All’esterno del Cassero di Porta Santo Stefano, da anni abitato da collettivi e gruppi queer, femministi e punk, un centinaio di attiviste e attivisti hanno dato vita prima a un presidio, poi a un corteo fino alle Due Torri.

Per questo pomeriggio alle 15 Atlantide lancia un nuovo «grande corteo cittadino». «Saremo ovunque», dicono le atlantidee che promettono «un’onda che deborderà in tutta la città» e pratiche creative per «smascherare il pink washing del Comune, che parla di diritti lgbt e poi sgombera». Se Atlantide per il momento affonda (ma le attiviste promettono di riprendersi presto uno spazio), a seguirla potrebbe essere il centro sinistra bolognese, visto che la città si sta riempiendo di progetti per “mandare a casa” il Pd.

Lo sgombero di Atlantide arriva dopo un anno di trattative portate avanti dall’assessore alla cultura Ronchi, un dialogo archiviato in un attimo con un avviso di sfratto affisso sul portone del Cassero, proprio mentre le attiviste stavano trattando con l’assessore negli uffici comunali. «Se vogliono uno spazio devono farsi associazione e passare da un regolare bando», è stata la linea pro legalità del sindaco e del suo partito. Peccato che in città siano numerosissimi i casi di assegnazione diretta di spazi, e per giunta senza nemmeno la necessità di farsi associazione. Addirittura, nel caso degli ultras, la giunta ha provveduto a regolarizzare a tempi di record un’occupazione. «I tifosi portano voti, Atlantide no», dicono i maligni. Certo è che almeno nei confronti dei collettivi queer e punk la legalità è stata usata come una clava.

Occupata nel 1998, regolarizzata e riconosciuta dal centro sinistra nel 2008, Atlantide è stata messa a bando durante la gestione commissariale di Anna Maria Cancellieri, e la cosa fu percepita in città come un avviso di sfratto. Poi, sotto la gestione Merola, una trattativa fatta di alti e bassi, avvisi di sfratto e dichiarazioni concilianti. Fino alla firme di un preaccordo in cui l’amministrazione comunale riconosceva anche politicamente i collettivi, e premetteva loro una sede nuova.

A far saltare tutto un combinato disposto fatto di indagini della procura sul mancato sgombero, pressioni della destra locale arrivate fino in parlamento, lungaggini burocratiche e il lavoro ostruzionistico della destra Pd.

A chiudere la questione la Digos inviata dai pm in Comune, un’azione che ha mandato all’aria una trattativa che nonostante tutto sembrava a un passo dalla chiusura. «Non mi faccio denunciare per Atlantide», ha detto il sindaco giustificando così l’avviso di sfratto. Le successive dichiarazioni dei democratici locali («rispettino le regole come tutti») hanno faticato non poco nel coprire il disastroso fallimento politico rappresentato da una trattativa durata un anno e poi abortita all’ultimo minuto. Tant’è vero che prima di essere cacciato dal sindaco, l’assessore alla cultura Ronchi ha dichiarato di «provare vergogna» per un’istituzione «che non rispetta i patti». A sgombero eseguito ha ripreso parola Merola, che ha parlato di «legalità ripristinata». «Ora – ha detto il sindaco – ogni dialogo è possibile, se si capisce che bisogna ripartire dalle regole».

Si vedrà se Atlantide riuscirà a conquistare uno spazio in città o vorrà riprendere la trattativa, nel frattempo però a finire nel caos è il centro sinistra. Nella primavera del 2016 i bolognesi dovranno scegliere il nuovo sindaco, e l’allenaza Pd-Sel attualmente al governo sembra sempre più un ricordo del passato.

L’assessore Ronchi ha lanciato ieri un progetto per «mandare a casa la classe dirigente del Pd, una disgrazia per Bologna e un problema per il sindaco». La capogruppo di Sel, Cahty La Torre, sembra interessata. «Se si aggregano forze con un progetto di governo, e non solo unite dal livore per il Pd, questo può far bene alla città. Credo che Sel dovrebbe starci». Sel, o quel che ne rimane visto che i quattro vendoliani in Comune sembrano tutto fuorché uniti. Nel gioco potrebbero entrare i civatiani di Elly Schleyn, la Coalizione civica di Mauro Zani e l’area politica, tutta da misurare, che gravita attorno al leader del tpo Gianmarco De Pieri.

La lista anti-Pd (ma non anti Merola, «amico mal consigliato») immaginata da Ronchi alimenta il sogno di Lega e 5 Stelle: portare Merola al ballottaggio e poi batterlo.

Quel che succederà in un eventuale secondo turno è impossibile da prevedere. Certo è che un precedente non manca: nel 1999 un centrosinistra rissoso consegnò «Bologna la rossa» nelle mani della destra. «Vincerà la Lega? La colpa sarà tutta della classe dirigente di questo Partito democratico», dice un bellicoso Ronchi.

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