I volti di Hermes (pp. 192, euro 24,00), pubblicato nell’eponima collana di saggistica di Moretti & Vitali, si fregia emblematicamente del sottotitolo Magie Inganni Sortilegi Rivelazioni e forma «una sorta di specchio a tre ante o un trittico magico-metamorfico-ermetico» con i due precedenti libri di Paolo Lagazzi, Per un ritratto dello scrittore da mago (1994 e 2006) e Il mago della critica. La letteratura secondo Pietro Citati (2018).

CONIUGANDO LA PASSIONE derivatagli dai giochi di prestigio con quella più manifestamente esegetica, Lagazzi integra ora quei lavori curiosi e godibili, cadenzati sui «prodigi illusionistici della parola» (Giancarlo Pontiggia), all’insegna della figura sfuggente di Hermes, denominato Mercurio nella mitologia romana, rievocata in funzione del suo magistero nel mondo magico e alchemico. Il critico parmense, oltre ad occuparsi proficuamente della lirica giapponese e dell’opera di Bertolucci, Citati, Spaziani per i Meridiani mondadoriani, ha pubblicato svariati saggi, misurandosi anche con il genere narrativo (si vedano i due romanzi editi da Passigli Light stone e L’isola della colpa, scritto con la moglie Daniela Tomerini). I suoi testi sono disseminati di plurimi riferimenti al profilo di Hermes, considerato custode delle soglie e delle situazioni duplici, non di rado borderline.
Il saggio si suddivide in vari capitoli, pervasi da una leggerezza di tono che non impedisce di affrontare argomenti complessi, ma sempre attinenti all’immagine di questa divinità psicopompa. Si passano così in rassegna il tema della metamorfosi in Supervielle e l’interpretazione di un testo di Calasso ispirato a Vertigo di Hitchcock, al quale lo stesso Lagazzi dedicò un rapsodico libretto nel 2002, le ripercussioni magiche nell’Asino d’oro di Apuleio e i disegni «inutili» di Luigi Malerba, nonché i motivi del «doppio», di giocolieri e saltimbanchi.

SI RIFLETTE AL CONTEMPO sulla fenomenologia dell’esotismo in Segalen e sulla fiamma di una candela in Bachelard. In quest’ottica comparatistica si arriva addirittura ad affrontare il rapporto tra Peanuts e astrologia. L’occasione è spesso costituita dall’approfondimento di un testo che presuppone con l’autore interpretato un profondo legame di empatia, non disgiunto dal ricorso a quelle Forme della leggerezza (come si intitola un libro del 2010) che rimanda sia al capitolo La leggerezza, l’altrove sia alle considerazioni di Calvino nelle sue Lezioni americane. Ma tale leggerezza è invisa alla frivolezza e alla banalità dei nostri giorni, recuperando semmai il concetto di grâce che Simone Weil contrapponeva alla pesanteur.

DIO DEI COMMERCI e dei confini, del furto e della menzogna, ma soprattutto dell’interpretazione (il termine «ermeneutica» si riconnette, anche etimologicamente, al suo apprendistato), Hermes ha ispirato «quella brotherhood di maghi» che affascinò sin dall’infanzia l’autore e il gemello Corrado che, giovanissimi, si esibirono in un loro peculiare repertorio con il nome The Twins, dopo che il padre medico, attratto da spettacoli circensi e teatrini di marionette, li iscrisse al Club magico italiano di Bologna, diretto da Alberto Sitta.
Quest’ultimo faceva i suoi numeri illusionistici travestito da cinese adoperando lo pseudonimo Chun-Chin-Fu e affiancava idealmente quella schiera di prestigiatori dai nomi stravaganti operanti a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta: Brusinis, Garatti, Karton, Schaffer, Maxim, Altobelli, Tellini, il Mago Rolino della tv.
Ma «il mago dei maghi» era Ranieri Bustelli il cui repertorio spaziava «dalle carte ai foulard, dalle candele alle corde, dalla «palla Zombie» agli anelli cinesi, dai fiori alle tortore». Lagazzi ricorda come, in una scena cruciale di Ladri di biciclette di De Sica, film tratto dal romanzo di Luigi Bartolini il cui soggetto era stato rielaborato da Zavattini, l’inquadratura si soffermi su un muro tappezzato di manifesti del mago Bustelli e del suo spettacolo La danza degli scheletri.

VA ASCRITTO a Lagazzi il merito di essere riuscito a coniugare una fine acribìa interpretativa con una riconoscibile cifra stilistica, scaturita da un retaggio dichiaratamente artigianale che si contrappone, oltre che alla deriva mediatica del logos, al linguaggio solipsistico della critica specializzata. Quell’inquietudine, quella flânerie intellettuale che accompagna gioie e idiosincrasie degli autori prediletti (Citati riletto alla luce di Chang-tzu, l’ipocondriaco Bertolucci, ma anche la schiva Fernanda Romagnoli) non è la stessa che contraddistingue la scrittura di Lagazzi, il suo felice dispiegarsi da un genere all’altro, pur rimanendo fedele a un’idea rabdomantica di poetica che sottenda, sempre e comunque, leggerezza e rêverie?