In una miscela di erudizione e semplicità, cultura enciclopedica e rara capacità di sintesi e selezione, con una quantità sterminata di informazioni e pagine prodighe di rarità e titoli dimenticati, ogni volta mettendo a fuoco la mentalità della contingenza, il suo evolversi, la necessità di fare i conti con le esigenze pratiche che condizionano da sempre la vita dei teatri,  Mercedes Viale Ferrero ricostruisce il rapporto tra l’idealità dei singoli spettacoli e le effettive possibilità di realizzazione in base a luoghi, occasioni, persone, situazioni contingenti. Ci si può fidare ciecamente: la studiosa di drammaturgia musicale della quale ricorre quest’anno il centenario (doverosamente ricordato a Torino con un ampio convegno) era rigorosissima nel vaglio delle informazioni, acuta e prudente nell’interrogare i documenti e investigare su lacune e tasselli mancanti. Ora il suo  L’opera in scena Luogo teatrale e spazio scenico (EdT, pp. XIII-262, € 28,00) viene ristampato grazie alla tenacia di Lorenzo Bianconi e alla collaborazione di una rete di istituzioni e di studiosi, tra cui Maria Ida Biggi che firma la prefazione. Particolarmente impegnativo anche per la presenza di un ampio corredo di immagini, il volume era uscito per la prima volta nel 1988, e viene riproposto nell’ambito di una meritoria iniziativa della Edt, che ristampa in volumi singoli, più o meno agili, alcuni contributi nati oltre trent’anni fa per una coraggiosa impresa collettiva degli anni Ottanta, dedicata al teatro d’opera italiano e guidata da Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli. Saggi tuttora considerati fondativi nell’ambito degli studi sul libretto (Fabbri, Metro e canto nell’opera italiana) o sulla drammaturgia musicale (il saggio cruciale di Carl Dahlhaus) vengono ora resi accessibili fuori dalle biblioteche.

Mercedes Viale Ferrero è nota ai frequentatori dei teatri d’opera per le sue storiche collaborazioni con la Scala e con il Regio di Torino: era suo merito se i programmi di sala di quei teatri uscivano con un corredo iconografico raccolto non solo ‘per bellezza’, ma piuttosto per guidare gli spettatori attraverso una storia parallela sempre illuminante di bozzetti, scenografie, costumi, immagini con cui documentare a vario titolo la storia passata e presente di uno spettacolo. Sempre vissuta a Torino (che quest’anno le ha doverosamente dedicato un ampio convegno), Mercedes era però la figura più internazionale che si potesse immaginare: da lei andava, per epistola o de visu, chiunque volesse approfondire i rapporti dell’opera in musica con lo spazio scenico nei suoi svariati aspetti, dalla concretezza del palcoscenico all’invenzione della scenografia, dall’architettura alla pittura teatrale, dalla progettazione dell’opera futura alla documentazione dello spettacolo realizzato. Non di rado era lei stessa, per amore del sapere e desiderio di condivisione, a farsi viva per suggerire nuove piste da esplorare, con generosità, discrezione e un sapere inesauribile, che le piaceva diffondere.

Il lettore della sua Opera in scena ritroverà la sua vivezza di idee, l’ampiezza della documentazione, la sua intelligenza di collegamenti e deduzioni: qualità che garantiscono un inossidabile piacere alla lettura.

Per comprendere il gioco a spazi stratificati in cui il suo lavoro si addentra basterà scorrere il capoverso iniziale, in cui l’autrice presenta in poche righe il complesso intreccio di ‘luoghi’ e ‘spazi’ «plurimi» entro cui si svolge l’opera in musica. Troviamo quindi lo spazio reale di un palcoscenico preesistente, su cui effettivamente si recita, e lo spazio fittizio di un luogo immaginario in cui si finge che avvenga l’azione; ma anche lo spazio simbolico «ove sono tradotte in immagini visibili le invenzioni, le intenzioni e le interpretazioni (non necessariamente collimanti) del poeta, del compositore, degli attori, dello scenografo, del regista e via dicendo»; e infine lo spazio che accoglie il pubblico e che sviluppa a sua volta una precisa logica (di acustica e visuale in rapporto all’opera, di visibilità e suddivisione sociale in rapporto al pubblico). Questi diversi punti prospettici convivono lungo tutta la storia dell’opera e dunque anche nel lavoro dell’autrice, producendo il risultato ambizioso di una sistemazione imponente del materiale disponibile, da cui al tempo stesso trapelano di continuo possibilità ‘altre’, varchi di potenzialità inattuate, confronti con tradizioni ed esiti paralleli.

Opera pubblica e opera privata, opera italiana in Italia o all’estero, genere serio o buffo, allestito in teatri di grandi o di piccole dimensioni, progressisti, tradizionalisti, cosmopoliti: tutte variabili che Mercedes Viale Ferrero domina con impressionante lucidità, mettendole a confronto per far comprendere le ragioni delle diverse identità, del sovrapporsi di consuetudini ben individuabili e al tempo stesso intrecciate. La relativa semplicità della scena fissa o scarsamente variata nel genere pastorale o buffo è altra cosa rispetto al ricco movimento delle opere serie, che spesso si richiama ad architetture monumentali o a precise ricostruzioni urbane (si veda per esempio il capitolo cruciale su Felice Romani) e finisce per ambire a vere e proprie ricostruzioni storiche. E poi c’è la lettura del libretto, di cui spesso sfugge la dimensione visiva, scenica, agìta; l’autrice invece scava nell’apparato di didascalie, paratesti e anche nel testo stesso, non di rado disseminato di indizi utili al gesto e alla scena. L’esempio di Parigi suggerisce a Verdi addirittura di adottare le ‘disposizioni sceniche’, poi tanto studiate da Mercedes Viale Ferrero, di cui l’editore Ricordi cercherà di imporre l’utilizzo anche ad altri compositori.

Ci sono poi i ‘corsi e ricorsi’ della scenografia, che si barocchizza, poi si fa più asciutta e realistica a fine Settecento, torna all’ipertrofia sul finir dell’Ottocento, per reagire infine con l’essenzialità degli spazi geometrici del primo Novecento. Le battaglie estetico-teoriche sono affiancate, con sano senso pratico, dal progresso tecnico, primo fra tutti quello della luministica. Ma anche gli elementi pittorici conoscono un’evoluzione straordinaria, arruolando per la scena del teatro musicale pittori non specialisti, che sperimentano su drammi e balletti la loro ricerca di movimento, colore, disegno, astrattezza. Un’avventura della mente, in cui la miriade di documenti consultati lascia gli archivi per tornare in vita, a rappresentarci in un tourbillon di varianti e metamorfosi la ricchezza dell’opera in musica, il suo divenire e mutarsi attraverso il tempo e lo spazio: vero fondamento dell’idea di un’Europa unita anche nell’amore comune e nella condivisione per questo genere così composito e ricco di storia.