Mentre l’ad brinda, 174 operai ricevono le lettere di licenziamento
Termini Imerese Cig in deroga per 1.200 tute blu
Termini Imerese Cig in deroga per 1.200 tute blu
Sarà pure un risultato storico, come dice il presidente della Fiat John Elkan, ma l’acquisto del 100% di General Motors da parte del Lingotto, visto dai 1.200 operai del defunto stabilimento di Termini Imerese suona come una beffa. Nella regione più a Sud d’Europa dal primo gennaio le tute blu siciliane sono in cassa integrazione in deroga fino a giugno; è andata peggio ai 174 operai di due delle sei ditte dell’indotto – la Lear, quotata in borsa, e la Clerprem – che hanno salutato il 2014 con 174 lettere di licenziamento.
Risale al 24 novembre 2011 la chiusura della Fiat, quando l’ultima Punto uscì dalla catena di montaggio di Termini Imerese; da allora il processo di desertificazione industriale è andato avanti senza sosta, trascinando nel baratro anche le attività commerciali sorte in 40 anni nell’area termitana. Chiudono negozi, attività artigiane, mentre i giovani migrano all’estero o vanno ai giardinetti.
«La chiusura della Fiat è una tragedia – dice il segretario provinciale della Fiom di Palermo Roberto Mastrosimone – mentre in Italia Marchionne chiude le fabbriche e colloca in cassa integrazione gli operai, utilizzando risorse pubbliche, perdendo quote di mercato nel nostro Paese e nel resto d’Europa, la politica sta a guardare senza alcuna intenzione di rompere il monopolio dell’auto e creare nuove prospettive aprendo a nuovi investitori. Da queste operazioni di mera ingegneria finanziaria guadagnano solo gli azionisti, non certo gli operai, né tantomeno il Paese».
Due anni sono stati persi dietro a trattative inconcludenti, ascoltando le sirene della Dr Motors di Massimo Di Risio, che avrebbe dovuto rilevare la fabbrica siciliana per assemblare i suoi modelli. Sarebbe bastato ascoltare invece gli operai per capire che l’operazione era impossibile già sul piano tecnico e logistico: le vasche per il trattamento chimico delle carrozzerie – facevano notare le tute blu – non avrebbero potuto contenere neanche il modello più piccolo realizzato dalla casa automobilistica di Macchia d’Isernia. Persino le altre proposte minimali selezionate da Invitalia, che prevedevano l’utilizzo di appena un quarto della forza lavoro Fiat, sono rimaste sulla carta. Ettari di capannoni dovrebbero servire a tre aziende per produrre biocarburanti e trasformare motori a scoppio in ibridi; poco più che officine, insomma.
Mentre a Roma si discutono ipotesi fantasiose e a Torino si brinda ai successi internazionali della Fiat, dal primo luglio l’unica alternativa al paracadute sociale è lo schianto occupazionale: il licenziamento, stessa sorte toccata agli operai di Lear e Clerprem, ai quali non è stata concessa la cig in deroga. Non sembra credibile che in soli sei messi si possa trovare una soluzione rincorsa per tre anni. «Dalla prossima settimana avvieremo la mobilitazione – spiega Mastrosimone – Mentre Marchionne annuncia accordi, noi qui contiamo i morti».
Il Marchionne-pensiero contagia anche la metalmeccanica di Stato: a Carini, l’area industriale ad ovest di Palermo, gli operai di Ansaldo Breda hanno ricevuto il benservito da Finmeccanica: andranno in cig. E i sindacati temono che la procedura di cassa integrazione sia l’anticamera della definitiva chiusura, che riguarderà inevitabilmente anche le ditte dell’indotto: la Miri, la Fullservice e la Poliedil hanno già provveduto a non rinnovare i contratti a termine di una trentina di operai.
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