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«Memento Mori», il ritorno malinconico dei Depeche Mode

«Memento Mori», il ritorno malinconico dei Depeche ModeDepeche Mode – Anton Corbijn

Musica Esce oggi, per Sony Music, il primo disco del gruppo britannico dalla morte del tastierista Fletch. Testi introspettivi e melodie ispirate per riflettere sulla perdita

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 marzo 2023

Un disco (molto) meno politico del precedente (e deludente) Spirit e più introspettivo, quasi un excursus nei testi della caducità dell’esistenza. Memento mori (Sony Music, in uscita oggi) – letteralmente‘«ricordati che devi morire» è un composto – ma tremendamente ispirato – disco che sei anni dopo restituisce i Depeche Mode al suo pubblico. Per prima volta in due, Martin Gore e Dave Gahan si confrontano con la scomparsa del tastierista Andrew ‘Fletch’ Fletcher morto lo scorso anno, e mettono a punto dodici canzoni dodici dall’andamento malinconico che non temono un retrogusto anni ottanta, pieni come sono di sintetizzatori su cui si adagia la voce cupa e dolente di Gahan. «Per me, la morte di Andy – ha sottolineato il cantante nel corso di un’intervista al Nme – ha cementato l’idea che dovevamo continuare con queste canzoni e questo titolo. Il suggerimento è che dovremmo tutti sfruttare al massimo il nostro tempo sulla Terra perché è molto limitato, è un messaggio importante. Ed è ancora più importante ora che Andy se ne è andato». E quasi a sottolineare il carattere intimo e sofferto delle liriche, sempre Gahan spiega a Virgin Radio: «Durante la pandemia abbiamo avuto tutti la chance di riflettere su chi ci fosse accanto, su cosa stessimo facendo e come avremmo speso il nostro futuro. Io almeno ci ho pensato tantissimo. Quando fai musica, parlo per me ma penso anche per Martin, tutto quel dolore ti passa attraverso nella speranza che confluisca in ciò che sai creando. Attraverso quel processo si sperimentano felicità, gioia, tristezza, la perdita e il dolore».

NEI CREDITI ritroviamo vecchie conoscenze come il produttore James Ford già all’opera su Spirit, mentre Marta Salogni figura come «engineering and additional programming». C’è anche Davide Rossi che suona in sette brani e – per gli estimatori degli anni ottanta – Richard Butler ovvero la voce degli Psychedelic Furs, a coaudiuvare Gohan in quattro pezzi.
Un disco malinconico si diceva, ma riuscito e ispirato nelle melodie – da sempre la carta vincente dei Depeche – e negli impasti vocali. L’introduttiva My Cosmos is Mine è un po’ il manifesto dell’album: rumori di fondo, sonorità profonde ed echi distanti. «Non giocare con il mio mondo – intona Gahan – non scherzare con la mia mente». Ci sono cose più classicamente Depeche come il singolo, fatto ascoltare in anteprima sul palco dell’Ariston a Sanremo Ghost again, refrain arioso in cui fanno bella mostra anche gli archi curati da Davide Rossi.

DA SPEZZA CUORI Don’t say you love me, con quelle note che solo Gahan sa «biascicare» così bene, tanti beat e una pedal steel guitar che ritorna nelle varie fasi della canzone. In un disco tutto sommato tradizionale e decisamente in linea con le produzioni passate, Before We Drown fa un po’ storia a parte, perché a scriverla insieme a Gahan troviamo i due membri aggiunti della band, Peter Gordeno e Christian Eigner. Si parla ancora di uomini soli e desolati e soprattutto fragili in un contesto musicale decisamente più easy e (quasi) radio friendly.
Si chiude sulle note di Speak to me, cofirmata da Gahan con James Ford, Christian Eigner e Marta Salogni: c’è solo David su un tappeto di archi per buona parte della canzone: «Parlami in una lingua che posso comprendere, dimmi che mi stai ascoltando», chiosa David in una visione del mondo a tratti ecumenica.

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