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Melusina e le altre donne-serpente, erotismo e poteri magici

Melusina e le altre donne-serpente, erotismo e poteri magiciMelusine fa il bagno, da Melusine di Thüring von Ringoltingen, 1468, Norimberga, Germanisches Nationalmuseum

Saggi di comparatistica Ištar, la dea mesopotamica dai piedi d’anatra; l’egiziana Hathor; le indiane Apsarasah; e poi Olimpia, Medusa, Eva, e la medievale Melusina: un’indagine di Carlo Donà per i tipi di Write UpSite

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 7 febbraio 2021

Caduto in disgrazia a corte, povero e afflitto, un giovane cavaliere, il suo nome è Lanval, vaga nella foresta in preda a cupi pensieri, improvvisamente gli appare una bellissima fanciulla, che gli promette grandi ricchezze e gli offre il suo amore. Il loro legame dovrà però restare segreto – così continua la storia in questo incantevole lai di Maria di Francia – perché lei viene dall’altro mondo: è una fata. Non tutte le fate sono così luminosamente generose, così benevole, la loro natura può nascondere pieghe inquietanti, legami con forze oscure, brama di potere, pensieri di morte. A decifrare questo lato misterioso e venefico è dedicato l’agguerrito e brillante saggio di letteratura comparata di Carlo Donà, La fata serpente Indagine su un mito erotico e regale (Write UpSite, pp. 318, con 197 figure nel testo, € 22,00). Per riconoscere la figura della fata, che nella maggior parte delle testimonianze non viene chiamata così, Donà individua una serie di tratti: la grande bellezza, la provenienza dall’altro mondo, il dimorare in un luogo nascosto, la connessione con un corso d’acqua o con una fonte, i poteri soprannaturali, il legame con il mondo animale (piedi d’oca o artigli di rapace, ali d’uccello), l’imperiosa offerta del suo amore, accompagnata dall’imposizione di un divieto.
Se assumiamo questo punto di vista tipologico, è possibile definire un’amplissima costellazione che va al di là della fata propriamente detta dell’Occidente medievale e che si allarga al mondo antico, all’Oriente giapponese, iranico, indiano, alle testimonianze del folklore. La dea mesopotamica Ištar ha piedi d’anatra, ha grandi poteri e può concedere la sovranità, è lussuriosa e si libera dei suoi numerosi amanti provocandone la morte o trasformandoli, come Circe, in animali (in lupo, in talpa …). In testi sanscriti le Apsarasah, il cui nome deriva da *ap, «acqua», sono bellissime, vivono in un arcano paradiso, occasionalmente, per amore, tentano i mortali. Nell’immenso Mahabharata le Nagi manifestano tutti i caratteri tipici della donna serpente: fascino ed erotismo, potenza magica, legame con l’acqua, pericolosità, come dimostra la storia degli amori tra il grande eroe Arjuna e la «principessa serpente» Ulupi. Nelle tradizioni popolari siciliane la fata compare con nomi segreti: Donni di fuora, Donni di loca, Donna di notti, Belli Signuri.
Il rapporto con il mondo animale costituisce una componente profonda e può esprimersi in forme molto diverse, che dobbiamo considerare equivalenti. In particolare la fata assume molto spesso un aspetto serpentino, oscuro e minaccioso. L’endiadi tra la donna e il serpente è un grande tema mitico che risale alla notte dei tempi. Per rievocarlo Donà ricorre anche a delle immagini – sono più di cento, solo in questo capitolo – offrendoci una sorta di «galleria ideale senza vincoli di spazio e di tempo». Emergono così, in meraviglioso disordine: la regina Olimpiade, la madre di Alessandro, di cui Plutarco ricorda come si circondasse di serpenti; la dea indiana Kali, che li brandisce quasi fossero spade; la mostruosa Medusa, con lo sguardo mortifero e le orrende chiome serpigne; Eva nel Paradiso terreste, tentata da un serpente con testa di donna; l’allegoria dell’Invidia, dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, con i serpentelli che fuoriescono dalla sua bocca; la dea egiziana Hathor, che possiede, oltre alla forma umana, anche un aspetto di gatto o di leone, e un sembiante ofidico: quest’ultimo può presentarsi come un serpente cornuto sormontato da un disco solare.
Il terzo e ultimo capitolo del libro è dedicato a Melusina, che si può considerare il più perfetto tipo medievale di fata serpente. Essa emerge in particolare nel racconto di Gervasio di Tilbury, che negli Otia imperialia (1209-1214) narra come il felice legame tra il castellano Raimondo e la moglie finisca quando lui, contravvenendo al suo divieto, la vede nuda: la donna è subitamente trasformata in serpente e scompare, tornando di tanto in tanto, di notte, a trovare i figli. Jean d’Arras riprenderà questa storia in Melusine ou la noble Histoire de Lusignan (1392-’94), scritto per incarico di Jean de Berry, per celebrare la discendenza del duca dalla nobile casa dei Lusignan. Al modello della leggenda melusiniana Donà accosta una bella serie di altre storie: Galvano che si innamora della fata serpente nel cantare della Ponzela Gaia; la bellissima Yukha, di cui un fachiro svela la natura serpentina, nella tradizione tatara e uzbeca; Adonio e la fata «in serpentile scorza» nel Furioso ariostesco (XLIII, 74-116); Shahmaran, il cui nome è connesso con *mar «serpente» e vale «Regina dei serpenti», figura estremamente popolare nel folklore persiano, curdo e turco. E ancora, e ancora … È quasi come se la fata serpente, tornata fortunosamente tra di noi, ci raccontasse, proprio come il personaggio di una fiaba, tutte le sue stupefacenti avventure.

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