Dopo avere lasciato per giorni il campo al vicepremier Matteo Salvini, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato ieri a Dubai sul caso del passaggio dal «mercato tutelato» a quello «libero» di gas e luce che turba il governo. E ha confermato le paure dell’alleato leghista. «La questione è spinosa – ha detto – Il mio obiettivo è evitare l’aumento delle bollette».

L’esecutivo però è spaccato. A differenza di Meloni e Salvini, il vicepremier ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia) ritiene che non ci sarà alcun aumento dell’energia. Per risolvere eventuali problemi basterà l’«informazione» ai consumatori. Considerata la complessità del mercato questa posizione è illusoria. Se l’obiettivo è evitare eventuali «rincari», non c’è un consenso sulle cause del guaio in cui si è messo, né sui modi per uscirne.

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Il tentativo è ora ottenere dalla Commissione Ue un’altra proroga di un anno. Sempre che sia concessa perché, a quanto pare, non è aria. Qualora lo fosse, non risolverebbe i problemi del mercato e dei prezzi. Ma almeno potrà essere sbandierata alle Europee di giugno come la prova che il governo pensa ai consumatori in crisi di potere di acquisto.

Di soluzioni, per ora non ce ne sono. Lo ha confermato Meloni che ha sentito la necessità di rompere il silenzio non in Italia, ma a Dubai. Tradendo l’imbarazzo e la sostanziale impotenza dell’esecutivo rispetto a una norma collegata alla terza rata del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr). Cambiarla potrebbe persino implicare il blocco dell’ambito finanziamento.

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In attesa che un ’oscura azione diplomatica con Bruxelles trovi una qualche soluzione in questo polverone, ieri Meloni si è dedicata al gioco dello scaricabarile con l’opposizione. Il problema è: chi deve prendersi la responsabilità della situazione? «La fine del mercato tutelato è stata stabilita nel 2017, governi Renzi e Gentiloni, votata dall’allora maggioranza del governo Draghi – ha detto – io ho votato contro e contestato apertamente la fine del mercato tutelato mentre gli altri la votavano. Posso capire che il Pd ha deciso che ha fatto una cosa sbagliata ma prima di spiegare a me come la risolvo perché non chiedono scusa?».

Insomma è colpa degli altri. Non anche del governo che ha varato la norma. Resta da capire la ragione per cui, pur avendo in passato votato contro, Meloni abbia deciso di approvarla. E perché dopo 10 mesi di trattative con Bruxelles non abbia sollevato il problema.

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Nessuna ammissione di una qualche responsabilità è venuta anche dal Pd. Nei giorni scorsi sono state presentate le seguenti vaghe motivazioni: era un altro momento storico, non c’era la crisi attuale. Come se il problema non fosse, ieri come domani, la dipendenza dei prezzi dalle speculazioni. La segretaria Pd Schlein ieri ha rilanciato l’attacco alla «tassa Meloni sulle bollette che pesa su 5 milioni di famiglie». Il dibattito, si fa per dire, è ostaggio di contraddittori cambiamenti di posizione. Ed è ancora più paradossale perché maggioranza e opposizioni sono d’accordo sulla proroga.

Nessuno intende discutere i problemi strutturali del mercato. Li desumiamo da un’inchiesta nell’ultimo numero di Remo Valsecchi e Duccio Facchini su Altreconomia e da un articolo di Aurélien Bernier su Le Monde Diplomatique di ottobre: la concentrazione oligopolista della distribuzione, della produzione e della vendita; la formazione dei prezzi e le tariffe domestiche; l’impatto della speculazione finanziaria sui servizi pubblici. Gli utenti italiani, tra il 2005 e il 2019, hanno già pagato un aumento mostruoso del 382,5% solo nel mercato dell’elettricità.