Non appena si diffonde la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Giorgia Meloni, in preda al primo vero impasse di governo, si precipita a Palermo. Non era avvenuto che il presidente del consiglio calasse sul capoluogo siculo nel 1993, quando venne arrestato Totò Riina, e nel 2006, quando toccò a Bernardo Provenzano. Erano anni in cui probabilmente i cittadini che sostenevano la lotta alla mafia non vedevano di buon occhio la passerella dei politici davanti alla procura di Palermo.

Così non è in questa fase. La premier, accompagnata dal sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e dal prefetto Maria Teresa Cucinotta, è passata a porgere il suo omaggio a Capaci, davanti alla stele che ricorda l’attentato a Giovanni Falcone, e poi è andata a congratularsi coi magistrati. «Ho detto al procuratore capo, agli investigatori tutti che l’Italia è fiera di loro» fa sapere dopo l’incontro con il procuratore Maurizio De Lucia e i vertici dei carabinieri. Qualcuno le ricorda delle polemiche circa i pochi impegni sulla lotta alla mafia nel programma elettorale di Fratelli d’Italia e nel discorso di insediamento da presidente del consiglio. «Non voglio fare polemica su queste cose – replica Meloni – Non penso che la lotta alla mafia possa essere un tema divisivo. Chi tenta di fare della lotta alla mafia un tema divisivo fa un favore per paradosso alla criminalità organizzata. È una battaglia che dobbiamo condurre tutti insieme, su questo eviterei di fare a chi è più bravo di chi».

Meloni propone che il 16 gennaio diventi la festa nazionale della lotta alla mafia. Ma ci tiene a «Non abbiamo vinto la guerra, non abbiamo sconfitto la mafia ma questa battaglia era una battaglia fondamentale da vincere ed è un colpo duro per la lotta alla criminalità organizzata».
Tutto il resto dell’arco politico saluta l’arresto di Messina Denaro con soddisfazione. A cominciare dal leader del Pd Enrico Letta. «Complimenti alle forze dell’ordine, alla magistratura e a tutti coloro che hanno reso possibile la cattura – twitta Letta – La mafia alla fine perde sempre». Il suo compagno di partito Roberto Morassut chiede però che il ministro dell’interno si presenti in aula, viste le voci che nelle settimane scorse hanno attribuito la possibilità di una sorta di arresto pilotato. «Riterrei opportuno che Piantedosi riferisca sulle circostanze che hanno condotto al raggiungimento di questo importante risultato. Anche per chiarire o fugare ogni dubbio sulla ipotesi di una trattativa». «Su questo posso dire che il governo, la politica, lo stato, devono sostenere chi si occupa ogni giorno concretamente di questo – risponde a distanza Meloni – È quello che il governo ha fatto sin dal suo primo provvedimento, voi lo sapete bene».

Il riferimento è alla difesa dell’ergastolo ostativo: «C’erano delle sentenze della Corte costituzionale, della Corte europea dei diritti umani – riassume – che dicevano che il carcere ostativo è in buona sostanza anticostituzionale e con la caduta del precedente governo si rischiava di non arrivare in tempo con una modifica parlamentare che mettesse in sicurezza questo strumento fondamentale della lotta alla mafia».

Salta agli occhi, a questo proposito, che ancora dopo tre mesi di legislatura non sia stata istituita la commissione parlamentare antimafia. La Camera dovrebbe dare il suo via libera nella prima settimana di febbraio. Del resto, sostiene il segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. «c’è bisogno che la politica non deleghi esclusivamente alla magistratura e alle forze dell’ordine che pure oggi hanno ottenuto uno straordinario risultato e intervenga in termini normativi e di politiche sociali e del lavoro». La lotta alla mafia, sostiene Fratoianni, «si costruisce quotidianamente, con lo sforzo di magistratura e forze dell’ordine, ma anche con politiche del lavoro e sociali che sottraggano alla criminalità organizzata l’acqua in cui nuotare e accrescere il proprio controllo sociale».