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Senza un programma. Per Meloni conta solo la guerra a poveri e lgbt

Senza un programma. Per Meloni conta solo la guerra a poveri e lgbtGiorgia Meloni – LaPresse

Il buio oltre la fiamma La leader Fdi non ha ricette su energia e crisi economica. Ma vuole tagliare i diritti civili e togliere il reddito di cittadinanza a 1,5 milioni di italiani. Sul blocco navale la bacchetta anche il suo Nordio: è impraticabile

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 31 agosto 2022

Certo, c’è il presidenzialismo. O meglio: l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma non è chiaro se con poteri di governo, come in Francia, o con quelli attuali. Certo, c’è il blocco navale, che «non è necessariamente un atto di guerra», ha detto ieri Meloni. Ci mancherebbe. «Ci si può sempre mettere d’accordo con la Libia». Sul gas non vuole il tetto nazionale, meglio il tetto della già odiata Europa, ma adesso non la odia più. E comunque ha ragione Draghi nel non voler fare nuovo debito per sostenere le famiglie. E poi?

A MENO DI UN MESE dal voto nessuno (a parte lei stessa e forse il guru Guido Crosetto) sa cosa vorrebbe fare al governo la leader Fdi. Un programma del partito non esiste, c’è solo quello firmato con Salvini e Berlusconi con la indispensabile postilla lanciata da Meloni al Meeting di Rimini sulla creazione di un «liceo del made in Italy» e l’altra trovata sullo sport come strumento per eliminare le «devianze».

Il programma di coalizione, a parte la flat tax, il saldo e stralcio e la riforma della legge Fornero cari a Salvini (senza però fare numeri) e il poliziotto di quartiere che il Cavaliere ha scongelato dal 2001 contiene vecchi cavalli di battaglia del centrodestra come il nucleare, l’innalzamento della soglia del contante, il ponte sullo stretto di Messina, cui si aggiungono un paio di passaggi davvero critici come il Pnrr «da rinegoziare» e l’eliminazione del reddito di cittadinanza da sostituire con «misure più efficaci in di inclusione sociale».

Tradotto: «Se dovessero vincere le destre almeno 1,5 milioni di persone, soprattutto nel sud, tra Campania e Sicilia, perderebbero il reddito», spiega al manifesto Domenico De Masi, padre del RdC. Ma Meloni e i suoi si guardano bene dal dirlo nei loro tour nel mezzogiorno. Mentre il resto del programma è così generico da consentire le mani libere dopo il voto.

I CANDIDATI (A PARTE il cerchio magico con i Lollobrigida e i Rampelli, i veterani La Russa, Santanchè, Rauti e Fitto, e i tre riciclati di Forza Italia Tremonti, Pera e Nordio) non li conosce praticamente nessuno. E dunque? La campagna di Meloni è costruita quasi esclusivamente sulla sua persona, che è l’unico e vero punto su cui gli italiani saranno chiamati a scegliere, come in quel vecchio detto americano che recitava: «Comprereste un’auto usata da questo candidato/a?».

IN QUESTE SETTIMANE la leader di Fdi più che presentare ricette per la crisi economica o per il lavoro ha cercato di rassicurare l’Europa e gli alleati a suon di (timide) prese di distanza dal fascismo «consegnato alla storia», continue professioni di atlantismo, frasi come «non vogliamo distruggere l’Europa» o addirittura «non vogliamo fare cose pazze». Ce l’ha messa tutta per rendersi premierabile, dalla Cnn alla Reuters, ai video in tre lingue con una inaspettata fluency, i contatti con i big della city di Londra favoriti dal solito Crosetto. Giusto per far dimenticare la performance di giugno al convegno dei postfranchisti di Vox in cui sembrava posseduta e declamava il manuale della destra più reazionaria e illiberale.

DISSOLVENZA, QUELLA Meloni si è inabissata per lasciare spazio a quella che, intervistata dal patinato e berlusconiano Chi, cita Ursula von der Leyen e la presidente del parlamento Ue Roberta Metsola (due conservatrici) per darsi una patina di europeismo e di moderatismo. L’occasione è ghiotta: la domanda su come conciliare un ruolo da premier con la maternità. «Non rinuncerò a nulla di quello che riguarda mia figlia di 6 anni, le donne si organizzano sempre e io sono un soldato», ha spiegato, citando le due esponenti europee che hanno rispettivamente sette e quattro figli.

DA QUESTA FOLGORAZIONE forse l’unica proposta chiara dell’aspirante premier: «Se vincerò tra le prime cose di cui mi voglio occupare c’è l’adeguamento dell’assegno unico per la famiglia». Con quanti miliardi? Non è dato sapere. E poi? «Mi occuperò di emergenza energetica, costo del lavoro e della legge di bilancio», che per un governo che dovrebbe entrare in carica a novembre è come dire che un prete si sta cimentando sull’Avvento. Non un numero per capire se le sue ricette siano  realizzabili.

Solo tante uscite ad affetto come quella al Meeting: «Ho imparato più facendo la cameriera che stando tanti anni in Parlamento». Applausi. E pazienza se sul blocco navale è proprio il suo Nordio a darle una bacchettata: «Durante le elezioni si usano queste affermazioni impattanti, è chiaro che il blocco navale inteso come cintura di navi da guerra nel mediterraneo è impraticabile». Così assurdo che pure Salvini, uno che sulla demagogia sulla pelle dei migranti ci si è laureato, si è chiamato fuori: «Basta riattivare i miei decreti sicurezza».

ALLA FINE, LE UNICHE cose che appaiono chiare sono la fiamma missina, che è rimasta ferma nel simbolo. E quella triade «Dio-Patria- Famiglia», da lei definita«il più bel manifesto d’amore». Che lascia spazio a varie interpretazioni. Quando da Vox urlava «sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla cultura della vita, no a quella della morte», cosa intendeva proporre? L’eliminazione della legge sulle unioni civili? Un intervento restrittivo sulla 194? «Nessuno vuole cambiarla», ha giurato Nordio, sempre più calato nei panni dell’esegeta moderato del Merloni-pensiero. Lo stesso che ha proposto di reintrodurre l’immunità parlamentare facendo infuriare ancora una volta i leghisti.

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