A una settimana dall’inizio ufficiale della legislatura, le prime sedute alla Camera e al Senato sono convocate per la mattina di giovedì 13 ottobre, Giorgia Meloni dice di essere «molto ottimista» sul governo che verrà. Due giorni fa aveva rassicurato i suoi: per quella data lo schema dell’esecutivo sarà pronto, con le caselle chiave occupate da quelle personalità di «alto profilo» che aveva detto di voler coinvolgere anche per frenare gli appetiti degli alleati Lega e Forza Italia. Ma se tutto ciò doveva arrivare dosando l’esperienza dei tecnici alla strategia dei politici, ieri da Fratelli d’Italia è arrivato un mezzo dietrofront: «Stiamo lavorando a un governo politico, forte e coeso, con un programma chiaro, un mandato popolare e un presidente politico», è il messaggio che trapela.

IL CAMBIO di passo è dettato dal fatto che l’architrave della squadra doveva essere il ministro dell’economia, chiamato a gestire la situazione complessa che Meloni eredita e a garantire mercati e compatibilità europee. È attorno al tecnico che la leader va ancora cercando per la poltrona di via XX Settembre che dovrebbe comporsi il resto della squadra. Su tutti si è fatto il nome di Fabio Panetta, ex direttore generale della Banca d’Italia e membro del board esecutivo della Bce. Pare tuttavia che la pista negli ultimi giorni sembra essersi raffreddata. A questo diniego sembra riferirsi Enrico Letta quando, parlando alla direzione del Pd, racconta di tecnici che si tirano indietro e accelerano la crisi della destra. L’ultimo ministro dell’economia di un governo di centrodestra fu Giulio Tremonti, negli anni transitato dall’ideologia anti-tasse reaganiana a un pensiero intriso di sovranismo antiliberale. Difficile, comunque, che Meloni decida di ripescare il ministro del quasi-default dell’ultimo governo Berlusconi al quale pure ha consegnato un collegio sicuro per la Camera al plurinominale in Lombardia. Rischierebbe di ripetersi quanto era accaduto all’inizio della scorsa legislatura, quando i gialloverdi avevano scelto come ministro Paolo Savona. Anche lui era passato dal liberalismo all’anti-europeismo, tanto che Sergio Mattarella aveva dovuto porre un veto sul suo nome.

BASTA QUESTO precedente per comprendere come la partita per l’economia non rappresenti soltanto la spia dei rapporti coi mercati e l’indice dell’emancipazione dal passato. Riguarda anche la relazione col Quirinale. Se un tecnico considerato di alto rango dovesse accettare di imbarcarsi in mezzo alla tempesta perfetta dei prossimi anni, con ogni probabilità lo farebbe anche per rispondere alla chiamata di Mattarella. Dunque, se Meloni dovesse davvero trovare difficoltà ad individuare la figura giusta, molti leggerebbero questa incertezza come l’effetto dei rapporti non proprio facili tra la futura inquilina di Palazzo Chigi e il colle più alto.

LA LEADER di Fratelli d’Italia, entrando a Montecitorio, ieri ha detto ai cronisti: «Il governo scrive nella Nota di Aggiornamento del Def, che entro la fine dell’anno noi spenderemo 21 miliardi dei 29,4 che avevamo: con spirito costruttivo diciamo che noi dobbiamo fare ancora meglio». Ma sa benissimo che attorno ai dossier sullo stato dell’economia e del bilancio si gioca gran parte della partita. Di fronte a questi problemi, insomma, il caso di Matteo Salvini e della sua ostinazione per il Viminale pare un problema minore: ancora tuttavia non c’è una data certa per l’incontro programmato tra Meloni e la delegazione della Lega. L’assemblea degli eletti di Fratelli d’Italia, invece, è fissata per lunedì prossimo. Lì bisognerebbe arrivare con qualche certezza: la premier in pectore ha bisogno di fugare le voci sulla debolezza che cominciano ad aleggiarle intorno. Come la provocazione di Matteo Renzi, che la invita a «smetterla con gli alibi» e presentarsi al Consiglio Ue del 20 ottobre. Meloni ha già detto che a quell’appuntamento ci andrà Draghi, Per questioni di tempistica istituzionale, è la versione che arriva dal suo inner circle, e perché tutto il lavoro fatto per istruire quella riunione è stato fatto dalla squadra dell’ex presidente della Bce. Sembrerebbe un altro segnale che la continuità tra i due, tanto cercata in questi giorni, va allentandosi.