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Meloni ingorda: maxi rissa sulle nomine. La rabbia di Lega e Fi

Meloni ingorda: maxi rissa sulle nomine. La rabbia di Lega e FiMatteo Salvini e Giorgia Meloni – Ansa

Il gioco delle sedie La premier impone Cingolani e Donnarumma ai vertici di Leonardo e Enel. Dura trattativa nella notte sulle presidenze: ballano Scaroni e Cattaneo. Il leghista Molinari: non può decidere tutto un solo partito

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 aprile 2023

Verso le 11 di ieri mattina Matteo Salvini bollava le liti dentro la maggioranza sulle nomine ai vertici delle grandi aziende partecipate come «fantasiose» ricostruzioni dei soliti giornali. «Oggi con Giorgia ci vediamo in consiglio dei ministri alle 15 e la chiuderemo in totale serenità». E invece no.

NONOSTANTE LA RIUNIONE del governo sia slittata a dopo le 16, e nonostante ne abbiano discusso prima e dopo la riunione ufficiale dei ministri, a ora di cena non c’era nemmeno un briciolo di accordo. «Si continua a lavorare», il messaggio diffuso in serata. Ma non troppo a lungo, visto che il Mef guidato dal leghista Giorgetti deve partorire le liste con i nomi per i cda entro domani.

Meloni e i suoi avversari interni, non solo Lega e Fi ma anche il fedelissimo Crosetto, se le sono date di santa ragione (verbalmente s’intende) soprattutto sul tema dei vertici di Enel e Leonardo, le due aziende più strategiche: con la premier sempre più convinta a imporre due nomi suoi (Stefano Donnarumma come ad del colosso dell’energia e l’ex ministro del governo Draghi Roberto Cingolani a Leonardo).

UNA LITE COSÌ PLATEALE che il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari, poco dopo le 15, è intervenuto a gamba tesa: «È chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito ad indicare i nomi a discapito degli altri». Più chiaro di così. Il punto è che, vista la delicatezza delle società in questione (tra le big ci sono anche Eni, Terna, Poste e Ferrovie) , l’aspettativa era che dopo il cdm uscisse la lista con i nomi. E invece no. Diversi ministri all’uscita da palazzo Chigi hanno sfidato i cronisti raccontando che «il tema delle nomine non è stato affrontato».

E INVECE IL BRACCIO DI FERRO è ancora in corso e non trova soluzione. Salvini e Gianni Letta (che tratta per conto di Berlusconi) stanno tentando in ogni modo di mettere i bastoni tra le ruote alle premier che vuole tutto: e dunque, al netto della scontata riconferma di Claudio Descalzi all’Eni, anche Cingolani (sgradito anche a Crosetto che vorrebbe l’interno Lorenzo Mariani) e Donnarumma, che passerebbe da Terna a Enel su suggerimento proprio di Descalzi, sempre più ascoltato a palazzo Chigi.

Le voci trapelate ieri indicano che i forzaleghisti, a un certo punto, avrebbero ingoiato Cingolani (che è già consigliere della premier per l’energia), per concentrare il fuoco di sbarramento su Donnarumma, un nome che preoccupa Giorgetti perché (pare) sgradito agli investitori finanziari che controllano il 70% di Enel.

TRATTATIVA IMPAZZITA anche sulle “compensazioni” che Meloni potrebbe dare agli alleati, e cioè le presidenze delle partecipate. La premier avrebbe ribadito il suo no al ritorno in Enel di Paolo Scaroni, molto sponsorizzato da Forza Italia, che potrebbe andare alla presidenza di Poste, anche se il suo nome è tra quelli che più hanno ballato nel flipper impazzito della famelica destra di governo. No anche ai nomi proposti da Salvini per Eni, tra questi l’euroscettico Angelo Maria Rinaldi. Dal cilindro del leghista è spuntato anche il nome del romano Alfredo Becchetti per Enel.

Ma le indiscrezioni di fine serata suggeriscono il rientro in partita di Flavio Cattaneo, che Giorgetti voleva ad di Enel, come presidente. Una mezza consolazione per la Lega. Che pure Meloni aveva cercato di ammansire lasiando campo libero in tutte le postazioni chiave di Ferrovie. I veleni si sprecano. Dal Carroccio dicono che Cingolani «è un debito che Meloni deve saldare con Draghi» e che essendo uno «scienziato» non avrebbe il curriculum adatto per gestire un colosso delle armi.

PIÙ IN DISCESA, si fa per dire, le scelte su Terna e Poste. Per la prima Meloni ha scelto Giuseppina di Foggia, ad di Nokia Italia e amica della sorella Arianna, che sarebbe la prima donna alla guida di una grande partecipata. Per Poste è prevista la conferma di Matteo Del Fante, scelto da Gentiloni nel 2017 e poi confermato da Conte tre anni fa. Anche qui ci sono state scintille persino dentro il cerchio magico di Fdi, con il ministro Lollobrigida che aveva puntato sul nome di Maurizio Ferrante.

«Per le nomine per noi conta la competenza, non l’appartenenza», sibila a fine serata il ministro Adolfo Urso. La discussione, o meglio la mega-lite, si protrae nella notte, tra telefonate e incontri faccia a faccia. La fumata sarà comunque nera: sia che non si arrivi all’accordo, sia che Meloni si prenda tutto.

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