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Meloni ingabbia la legge di bilancio. E spera nella Ue

Meloni ingabbia la legge di bilancio. E spera nella UeGiorgia Meloni e Raffaele Fitto – Caprese

La resa dei conti La premier ha silenziato gli alleati in vista del prossimo vertice. Ma l’appuntamento più atteso è l’Ecofin informale di settembre

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 agosto 2023

Il giro di vite della premier almeno un po’ ha funzionato. Ieri i leader alleati, Salvini e Tajani, hanno evitato di illustrare la manovra dei loro sogni e di beccarsi come hanno fatto per tutta l’estate, essendo le rispettive chimere per lo più incompatibili.

Meloni ha fatto filtrare tutta la sua irritazione per l’eccesso di esternazioni e di polemiche, poi, lunedì, ha intimato al consiglio dei ministri di non parlare della manovra, «altrimenti diventa un vertice di maggioranza», in compenso ha fissato i suoi paletti e li ha resi pubblici diffondendo il testo del suo discorso con l’ordine di «tenere i piedi ben piantati per terra». Di conseguenza ieri, all’indomani della prolusione meloniana, i loquaci vicepremier hanno mantenuto il riserbo.

NON SIGNIFICA CHE abbiano rinunciato alle loro richieste: verranno ribadite nel vertice di maggioranza propriamente detto, la settimana prossima. La Lega non si accontenta della conferma di quota 103. Chiederà almeno un primo passo su quota 41, limitata al contributivo, e insisterà anche per allargare un po’ la platea della Flat Tax per le partite Iva. È probabile che Salvini tornerà alla carica anche sul fronte delle accise, dove però il muro della premier e del ministro Giorgetti è invalicabile.

Forza Italia, a differenza del Carroccio, ha commentato, per bocca del portavoce appena nominato da Tajani, Raffaele Nervi, il discorso della premier. Piena intesa sugli interventi a favore della famiglia, che forse è il principale collante di questa destra, e sulla conferma del taglio del cuneo fiscale, però «le pensioni minime a 600 euro non sono ancora una cifra dignitosa».

Gli azzurri cercheranno di puntare i piedi per portarle a 700 euro. Con quante chances di successo è molto incerto. Alle uscite irrinunciabili già annunciate da Giorgia Meloni, cuneo fiscale e famiglie, bisogna infatti aggiungerne una terza, poco citata ma molto pesante: spese militari nell’ordine di circa 5 miliardi. Più di quanto servirebbe alla Sanità della quale invece si parla pochissimo e che prenderà nella ripartizione degli esigui fondi anche di meno.

MA DI QUI AL 27 settembre, data di presentazione della Nadef, l’attenzione del governo sarà concentrata più sul come trovare i fondi che sul come spenderli. Il 10 settembre i ministeri dovranno presentare l’elenco dei tagli sulle spese tagliabili, e la premier ha segnalato col pennarello rosso che il criterio col quale si decidono i tagli deve essere politico. Il 20 settembre le 13 commissioni messe al lavoro dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo presenteranno le proposte di decreti attuativi della riforma fiscale, un settore dal quale Leo spera di ricavare introiti grazie alle intese tra fisco e contribuenti. Però l’appuntamento più atteso e temuto non sarà in questo o quel ministero romano ma Santiago de Compostela, dove il 15 e 16 settembre è in agenda un vertice informale Ecofin con all’ordine del giorno la riforma del patto di stabilità.

Il ministro Giorgetti lo ha detto a chiare lettere nella conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri di lunedì: in buona parte le dimensioni della manovra dipenderanno dal contesto europeo, cioè dalla trattativa in corso sul patto di stabilità. Se non si troverà l’intesa entro l’anno, dal primo gennaio 2024 dovrebbero tornare in vigore le vecchie regole di Maastricht e per l’Italia i margini di manovra si ridurrebbero più o meno a zero.

NEL VERTICE ECOFIN Giorgetti cercherà dunque un varco per chiedere una proroga della sospensione del patto, in caso di mancato accordo, oppure, se l’accordo ci sarà ma confermando il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil, una fase cuscinetto che permetta all’Italia di non finire strangolata mentre tratta per l’eliminazione dal conto di alcune voci di spesa. È però molto improbabile che da Bruxelles arrivi un semaforo verde per ulteriore deficit e dove Giorgetti troverà i 20 miliardi circa che ancora mancano all’appello resta un mistero per tutti. Le ipotesi sono diverse, da alcune privatizzazioni al miraggio di un taglio delle detrazioni fiscali, ma sono tutte vaghissime e insufficienti. Anche perché gli introiti della tassa sugli extraprofitti, sempre che non venga spolpata in fase di conversione, serviranno a coprire l’ingresso dello Stato in Tim.

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