Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) ha bocciato ieri a maggioranza (39 voti a favore, 15 contrari, 8 assenti) la proposta di legge su un salario minimo a 9 euro lordi all’ora presentata dalle opposizioni, tranne Italia Viva. E la presidente del Consiglio Meloni ha potuto dire che, in base al lavoro svolto dagli «esperti», «il mercato del lavoro italiano rispetta pienamente i parametri previsti dalla direttiva europea sul salario minimo. Questo non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero e le basse retribuzioni. Serve un piano di azione pluriennale, una serie di misure e interventi organici da adottare in tempi brevi».

È LA SINTESI politica di una giornata non felice per l’opposizione che ha puntato le sue carte sul salario minimo. Era attesa dallo scorso agosto quando il governo ha aggirato il suo pressing e ha chiesto astutamente un parere «scientifico» all’organo costituzionale che si occupa della discussione sulla legislazione economica e sociale.

LA «CONSULENZA» approvata dal Cnel relativizza fortemente l’enfasi attribuita in questi mesi al salario minimo orario considerato una leva della lotta contro il lavoro povero e i bassi salari. Conferisce una priorità all’estensione della contrattazione nazionale e sembra attribuire una preferenza alla contrattazione alla direttiva europea che chiede di adottare il salario minimo. In più sostiene che il «lavoro povero» non è causato solo dalle basse retribuzioni, ma anche dal lavoro precario e intermittente, dal reddito familiare e dalla (mancata) azione redistributiva dello Stato sociale.

ELEMENTI REALI che hanno senz’altro un peso. Non si comprende tuttavia la ragione per cui un salario minimo non possa essere istituito insieme al rafforzamento della contrattazione, e a una legge sulla rappresentanza sindacale, che possono procedere con interventi di politica economica e sociale, mai realizzati fino ad oggi. Questioni che andrebbero affrontate dalla «politica» e non dai «professori universitari», ha precisato il giuslavorista Michele Tiraboschi che ha coordinato il lavoro necessario per stendere il documento.

IL PREVEDIBILE PARERE del Cnel ha amplificato il conflitto politico a ogni livello. Un ruolo particolare lo ha svolto il nuovo presidente Renato Brunetta che ha dettato i tempi di una conferenza stampa-show. L’ex di molte cose, già ministro di Forza Italia, ha sferrato un attacco a Cgil e Uil che insieme a Usb sono stati tra quelli che hanno votato contro il documento e il decalogo di proposte «concrete». «Non è il Cnel ad essere spaccato – ha detto Brunetta – sono Cgil e Uil ad avere rotto l’unità sindacale con la Cisl. È legittimo che abbiano cambiato idea. La Cgil fino a 2-3 anni fa diceva cose diverse. Se dunque il sindacato è diviso anche il Cnel ha dovuto tenere conto di questo». La contrarietà dei sindacati ha in effetti pesato nella scorsa legislatura quando la proposta del salario minimo si è arenata. Quella che per Brunetta sembra una contraddizione potrebbe essere invece intesa come un cambiamento culturale.

LA CGIL CONTESTA l’idea per cui il salario minimo danneggerebbe la contrattazione e rischierebbe di abbassare le retribuzioni. Eventualità giustificata in conferenza stampa per una questione culturale italiana, in particolare nel lavoro domestico. Cgil, e Uil, sostengono che il salario minimo si costruisca sui contratti nazionali sottoscritti dai sindacati rappresentativi. L’uno non esclude gli altri, insomma, e servirebbe da traino per allargare la negoziazione. Lo sostiene sia la proposta delle opposizioni parlamentari che quella di Unione Popolare che prevede un salario minimo a 10 euro indicizzati con l’inflazione. Contrapporre tali elementi significa solo una cosa: «Negare il salario minimo» concludono Paolo Pirani e Paolo Carcassi della Uil.

LO SCONTRO interessa un altro aspetto non secondario. La Cgil critica l’idea per cui solo aumentando la produttività possano crescere i salari. L’aumento dei salari è considerato invece la condizione per cui aumenti anche la produttività. Brunetta ha evidenziato inoltre l’esito del voto a maggioranza di ieri. Così facendo ha riattizzato anche il conflitto sulla composizione dell’Assemblea del Cnel sulla quale pendono ricorsi. La stessa Cgil sostiene che è stata penalizzata «la reale rappresentanza delle parti sociali». I voti non si contano e basta. Ma si pesano.

IL 17 OTTOBRE la proposta di legge delle opposizioni torna in parlamento. Elly Schlein (Pd), Giuseppe Conte (M5S), Carlo Calenda (Azione), Nicola Fratoianni (Avs) vogliono il voto. Per dimostrare che Meloni vota «No» contro i precari. Tuttavia c’è il timore che il governo sfugga come un’anguilla e rinvii di nuovo il testo, stavolta in commissione. È prevedibile che l’astratta contrapposizione tra la contrattazione e il salario minimo sia fatta valere in questa o in altre sedi, come già stava emergendo ieri sera.

SI ALLONTANO così le già flebili speranze di un’approvazione del salario minimo sul quale le opposizioni parlamentari hanno trovato un’intesa. «Del resto, se era questa la strada giusta, potevano percorrerla quando erano al governo» ha sibilato una voce giunta dalle parti dell’esecutivo in carica.