Il nuovo miracolo italiano promesso all’epoca da Silvio Berlusconi? C’è già stato. Giorgia Meloni si presenta a Milano, all’assemblea generale di Assolombarda, per annunciare con gli ormai consueti toni assertivi che tutto va per il meglio. «Stiamo dimostrando una affidabilità maggiore rispetto al resto dell’eurozona» dice la presidente del consiglio. Ciò è merito, sostiene, del modello industriale italico. Del resto fin dal suo discorso di insediamento ha fornito la sua versione del neoliberismo in salsa sovranista: «La ricchezza la creano le imprese con i loro lavoratori, dunque il nostro motto sarà ‘Non disturbare chi vuole fare’». Ciò implica la chiusura alla proposta sul salario minimo delle opposizioni. «Certe cose – dice Meloni – non si fanno per legge». Applausi dalla platea quando partono le bordate contro il reddito di cittadinanza.

Discorso simile sull’ambiente: «Va bene la transizione ecologica però non possiamo smantellare le nostre imprese». Il messaggio non è tanto agli ambientalisti quanto alla Commissione Ue, anche perché solo pochi giorni fa una maggioranza al parlamento europeo con asse tra popolari e conservatori ha smontato un pezzo del Green deal. «Se da una parte è giusto che l’Europa stabilisca gli obiettivi della transizione ecologica e se noi condividiamo quegli obiettivi – concede retoricamente – dall’altra parte credo che la tecnologia con la quale ogni nazione sceglie di raggiungere quegli obiettivi debba essere lasciata alla definizione degli stati nazionali per salvaguardare l’economia, il sistema industriale e per non consegnarci a nuove pericolose dipendenze». Di qui la promessa che entro la primavera del prossimo anno arriverà un «documento globale di politica industriale» per il made in Italy. Ma qui le chiedono misure solide, dunque Meloni giura che si sta lavorando per rendere strutturale il taglio al cuneo fiscale.

E il Pnrr? «Quei soldi li metteremo a terra, costi quel che costi», rivendica la premier polemizzando coi disfattisti che fanno le pulci alla sua squadra. «Orgoglio, ottimismo, fiducia: è quello di cui abbiamo bisogno – sostiene Meloni – E io ho tutti e tre». Poi un annuncio: il governo progetta un «chip act» italiano in grado di tutelare e rilanciare l’hi-tech. «È una sfida che dobbiamo affrontare sotto l’egida di una governance europea – riflette a margine dell’evento il presidente di Confindustria Carlo Bonomi – Ma se poi ogni stato membro va per la sua strada, è ovvio che noi dobbiamo difendere i nostri interessi».

Fino alla metafora (quantomeno di cattivo gusto, visti i boicottaggi dell’esecutivo alle Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo) della nazione come imbarcazione che avanza in mezzo ai flutti. «Saremo sempre la nave più bella del mondo – dice – Il nostro scafo può avere qualche danno ma è sempre sicuro». L’allegoria nautica tradisce la visione autarchica delle sorti del paese: al di fuori del perimetro dell’imbarcazione-paese ci sono solo flutti ostili. È un’immagine che lascia intravedere un sala macchine fatta di forza lavoro sfruttata. «Faremo ciò che va fatto, metteremo tutti ai remi», minaccia Meloni.