Meloni alla Cgil: il gelo oltre la demagogia
Terzo Giorno del Congresso Cgil Un solo applauso: al ricordo dell’assalto della sede. «Ma ora tolga la fiamma dal simbolo». Dopo il comizio, incontro faccia a faccia con Landini che dura 40 minuti. Il segretario esce soddisfatto ma nessuna indicazione sul contenuto. Sarà il tempo a mostrare chi ha vinto
Terzo Giorno del Congresso Cgil Un solo applauso: al ricordo dell’assalto della sede. «Ma ora tolga la fiamma dal simbolo». Dopo il comizio, incontro faccia a faccia con Landini che dura 40 minuti. Il segretario esce soddisfatto ma nessuna indicazione sul contenuto. Sarà il tempo a mostrare chi ha vinto
«Il primo presidente del consiglio in 27 anni a un congresso della Cgil». Nella frase con cui Giorgia Meloni sottolinea il carattere «storico» del suo discorso dal palco di Rimini sta tutta l’unicità politica e sindacale italiana. Da 27 anni la politica non si confronta con il sindacato. E, ancor più grave, sono stati i governi di centrosinistra a non farlo. Arrivando alla rottamazione e alla disintermediazione propugnata da Renzi.
IN QUESTO CONTESTO Giorgia Meloni ha avuto gioco facile. Fosse stata fischiata, avrebbe potuto fare la vittima. La gelida accoglienza dei 986 delegati Cgil invece le ha, sì, consentito di mostrare all’esterno il suo programma che cerca di convincere anche i ceti popolari della bontà della sua ricetta, ma ha mostrato come la stessa Cgil sia la sola capace di fare opposizione in questo disgraziato paese. E la prospettiva è che l’opposizione si intensificherà a breve con la mobilitazione contro la delega fiscale insieme alla Uil e (si spera) alla Cisl.
Maurizio Landini da parte sua aveva denunciato da settimane la sfida di Meloni: «Considerare il sindacato come una delle tante lobby corporative che difende interessi particolari». Ieri «ascoltando» Meloni, ha portato a casa la legittimazione a potersi «confrontare» con la presidente del Consiglio in un incontro faccia a faccia di oltre 40 minuti i cui contenuti sono sotto stretto riserbo ma da cui Landini esce soddisfatto. Il tempo mostrerà da che parte pende la bilancia dei vantaggi fra i due.
LA MEZZ’ORA DI DISCORSO di Meloni è stato un condensato di cosa sia la destra in economia con due gravi e volute omissioni: il tema dei migranti e l’autonomia differenziata.
Durante il comizio la platea Cgil mostra una freddezza glaciale. L’unico timido applauso arriva quando Meloni ricorda l’assalto alla sede nazionale del sindacato. Omettendo però totalmente la parola «fascista».
Per il resto la premier sciorina tutto il repertorio del liberismo conservatore in salsa Visegrad. Sul salario minimo, terreno su cui le opposizioni dopo il confronto di giovedì potrebbero costruire un fronte comune per sfidare il governo, Meloni è un muro: «Non è la strada giusta», indicando la ricetta «dell’estensione della contrattazione collettiva» che chiedeva la Cisl.
Il riferimento alla «cittadella di garantiti impermeabile a chi rimane fuori» che sarebbe l’attuale sistema di ammortizzatori sociali, promettendo di estendere tutele a tutti è populismo puro: senza risorse si tradurrà in un taglio.
L’ATTACCO PIÙ DURO è per il Reddito di cittadinanza. Meloni rivendica come «doverosa» l’abolizione per chi è «in grado di lavorare: non credo debba essere mantenuto dallo Stato», attaccando indirettamente i sistemi di welfare di quasi tutta Europa. La ricetta in questo caso è trovare lavoro a tutti: come non si sa.
Si passa poi alla difesa della riforma fiscale varata giovedì dal consiglio dei ministri ieri e «frettolosamente bocciata da alcuni»: Landini mercoledì ne aveva chiesto l’immediato ritiro.
Per Meloni la riduzione da quattro a tre aliquote favorirà i ceti più popolari e non solo il ceto medio e la flat tax lascerà la progressività mentre la sua versione «incrementale» per i dipendenti favorirà «il merito».
Pedretti (Spi): solo balle su fisco e non autosufficienza De Palma (Fiom): subito mobilitati
Insomma, la favola che il governo Meloni vuole bene ai lavoratori. Anche se in realtà persegue solo gli interessi del suo elettorato: imprenditori, commercianti, artigiani ed evasori a cui «la semplificazione della riforma» regalerà sonni tranquilli.
IERI LANDINI NON HA commentato il discorso – lo farà oggi – lasciando agli altri segretari di categoria la risposta della Cgil. «La premier Meloni è venuta qui provando a lisciarci ma in realtà ha raccontato un po’ di balle – ha attaccato dal palco il segretario dei pensionati dello Spi Ivan Pedretti – . Le ha raccontate sul fisco, perché non è vero quello che dice lei, e i pensionati su quella riforma lì pagheranno un prezzo altissimo. Ha raccontato una bugia sul fatto che la legge sulla non autosufficienza l’avrebbe fatta lei e invece l’ha fatta il governo Draghi. E se è vero che è solidale contro l’attacco alla Cgil allora che cancelli la fiamma dal simbolo del partito e rientri in un’area liberal democratica e allora tutto sarà più semplice e anche più democraticamente assorbibile», ha chiuso Pedretti.
Per il segretario degli edili della Fillea Alessandro Genovesi «se qualcuno vuole capire la differenza tra chi difende il lavoro e chi la rendita, basta mettere a confronto le proposte della Cgil e quelle fiscali o sociali del governo», mentre il segretario della Fiom Michele De Palma annuncia già «un percorso di assemblee nei luoghi di lavoro, fino alla mobilitazione generale».
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