Melfi, nuova «bandierina» alla Fiom. I tre licenziati rientrano in fabbrica
Fiat Tre anni di lotte e processi. Uno è senatore Sel. Gli operai erano stati accusati di aver fermato un automa durante uno sciopero. Landini: «Ora ci riconoscano al tavolo nazionale»
Fiat Tre anni di lotte e processi. Uno è senatore Sel. Gli operai erano stati accusati di aver fermato un automa durante uno sciopero. Landini: «Ora ci riconoscano al tavolo nazionale»
Questa mattina saranno un’altra volta in fabbrica, dopo 3 anni, dopo che vennero licenziati in tronco nel luglio del 2010 perché accusati di aver bloccato un carrello per il trasporto dei materiali agli altri operai che non avevano aderito allo sciopero. O almeno questa è sempre stata la tesi della Fiat nei diversi gradi di giudizio, in una battaglia lunghissima che alla fine la casa automobilistica ha perso. Quest’estate la Corte di Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda, segnando un altro punto a favore della Fiom contro Sergio Marchionne.
Rientrano alla Sata di Melfi Antonio Lamorte, Marco Pignatelli e Giovanni Barozzino, dal febbraio scorso eletto senatore nelle file di Sel potrebbe anche decidere di restare in Parlamento. La vittoria ha una doppia valenza, non solo i lavoratori ritornano sulle linee a discapito dell’infaticabile contrarietà dell’azienda, ma si tratta dell’ennesima sconfitta del Lingotto dopo i ricorsi per discriminazione presentati a Pomigliano e in seguito in tutte le fabbriche dalla Fiom. L’organizzazione dei metalmeccanici Cgil che da oggi, sempre per decisione della Consulta, avrà diritto a riottenere le Rsa in ogni stabilimento del paese.
Ma a Melfi si festeggia qualcosa di più, perché si è intervenuti su una vicenda che sembrava andare a colpire tre operai, quasi come a dare l’esempio per tutti gli altri. «Il nostro auspicio è che si metta fine a questa vicenda diffamante che è stata per certi aspetti drammatica: essere accusato di sabotaggio e poi venire assolto dopo tre gradi di giudizio non mi risarcisce di questi 3 anni in cui ho pagato in prima persona, in salute e nei rapporti familiari». Antonio Lamorte stenta quasi a crederci che da oggi riprenderà ad essere un operaio a tutti gli effetti. La Fiat, infatti, anche quando dopo la prima sentenza era stata obbligata a reintegrarlo insieme ai due compagni, non lo aveva richiamato alle linee, anzi aveva deciso di pagargli lo stipendio ma lasciandolo a casa, come Pignatelli e Barozzino, in un braccio di ferro estenuante a livello psicologico.
«Sono stanco – ci dice Lamorte – ho solo voglia di ritornare alla normalità. Essere accusati di sabotaggio non è un’ingiuria da poco, ma se noi abbiamo dimostrato la nostra innocenza, è stata provata d’altra parte la colpevolezza dell’azienda che ha attuato nei nostri confronti una vera rappresaglia antisindacale».
Ora forse le tre tute blu potranno guardare avanti, anche se in tempi di crisi non è facile per nessuno, a maggior ragione se hai una tessera Fiom in tasca.
Attualmente alla Sata i 5.500 lavoratori sono in cassa integrazione a rotazione, qui si produce sempre la vecchia punto e un nuovo modello arriverà (forse) solo nel 2014, ed è anche per questo motivo che il segretario Maurizio Landini ieri ha commentato così la notizia: «La Costituzione e le libertà rientrano in Fiat. Lo abbiamo ottenuto ed è importante ma la partita non è chiusa». Il riferimento è alla necessità di far ritornare l’organizzazione ai tavoli delle trattative: «La Fiat continua a escludere i delegati della Fiom – ha detto Landini – È un comportamento antisindacale. Non escludiamo, se sarà necessario, di chiedere l’applicazione della sentenza anche su questo». Il segretario ha quindi sottolineato di ritenere «la questione produttiva e occupazionale sempre più grave» e ha chiesto al governo di convocare al più presto le parti per mettere nero su bianco i progetti futuri su investimenti e produzioni.
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