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De Vito (Md): «Mele marce? No, nel consiglio c’è una questione morale»

De Vito (Md): «Mele marce? No, nel consiglio c’è una questione morale»

Intervista Per il presidente di Magistratura democratica (Md) «è il momento più drammatico della storia del Csm, assimilabile allo scandalo P2»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 giugno 2019

«È il momento più drammatico della storia del Csm, assimilabile allo scandalo P2». Non usa mezzi termini Giuseppe Cascini, membro togato di Area, il gruppo di cui fa parte Magistratura democratica (Md). Il suo è l’intervento più duro del plenum di ieri, convocato per affrontare le conseguenze dell’inchiesta della procura di Perugia che vede indagato l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e coinvolti cinque consiglieri di Palazzo dei Marescialli. Uno di loro, Luigi Spina, indagato anch’egli, si è dimesso, gli altri si sono autosospesi. «Cascini ha ragione, ora bisogna ascoltare la richiesta di trasparenza che viene dalla base della magistratura», sostiene Riccardo De Vito, che di Md è il presidente.

Dottor De Vito, la vicenda è sconcertante: politici come Luca Lotti, indagato dalla procura di Roma, che incontrano consiglieri del Csm e l’ex presidente dell’Anm per decidere chi nominare a capo di quella stessa procura.
Al di là delle responsabilità penali individuali, sulle quali vale la presunzione di non colpevolezza, colpisce la trasformazione dell’autogoverno della magistratura in eterodirezione. Non si tratta di ‘mele marce’, c’è una vera questione morale: la nomina dei dirigenti mediante accordi tra esponenti della magistratura e una parte della politica, di ogni colore, interessata ad aggirare l’indipendenza della giurisdizione. Per fortuna c’è una reazione corale della magistratura di base che chiede le dimissioni delle persone coinvolte con responsabilità istituzionali. Una reazione importante, perché viene da quei magistrati che ogni giorno difendono con il lavoro il valore dell’autonomia, venendo a volte attaccati proprio per la loro indipendenza.

Emerge un intreccio tra pezzi del Pd renziano e parti di due correnti delle toghe: quella di destra, Magistratura indipendente, il cui leader Cosimo Ferri è ora deputato del Pd, e quella di centro, Unità per la Costituzione.
Si delinea un consociativismo patologico che lega magistrati, politici e, nel caso di Ferri, politici ex magistrati interessati alla gestione della magistratura. Il contrario del progetto costituzionale di autogoverno: siamo a una politica di basso profilo, di pura gestione e spartizione interessata, opaca. E fatta, chiaramente, in luoghi opachi.

Il ruolo di capo delle procure è così al centro delle attenzioni da quando la riforma voluta da Berlusconi ha ridisegnato in modo gerarchico le procure, giusto?
È chiaro che la nomina negoziata dei dirigenti delle procure scaturisce dalla struttura ordinamentale che concede molti poteri al capo in assenza di un effettivo sistema di controllo. Se ne può uscire in due modi: o consegnando alla politica il controllo dei pm, come sento riemergere nei discorsi sulle priorità decise dalla maggioranza e sulla separazione delle carriere, oppure cercando seriamente gli anticorpi per adeguare la realtà di fatto a quella voluta dalla Costituzione, grazie alla consapevolezza della propria autonomia dei magistrati.

A proposito dei discorsi in voga: un evergreen è l’attacco alle correnti, tutte indistamente. E tornano a farsi sentire le proposte di nominare il Csm tramite sorteggio.
Vicende come queste spalancano le porte all’attacco ai gruppi associati della magistratura e al principio di rappresentanza. Sono assolutamente contrario al sorteggio, ma so che molti magistrati con la schiena dritta pensano che sia l’unico sistema per evitare riforme volte a codificare quello che ora è patologia, cioè l’eterodirezione: con loro bisogna confrontarsi.

Ma voi di Md restate contrari.
Esatto. Per molti motivi: oltre a tagliare le gambe al principio di rappresentanza e controllo degli eletti, non garantirebbe che i “cani sciolti” non venissero poi “accalappiati” dalla politica. La tracotanza e l’ingerenza della politica hanno trovato terreno fertile non nella forza della correnti, ma nella loro debolezza politico-culturale, come giustamente ha ricordato Cascini al plenum. Questa vicenda mostra cosa accade quando le correnti si concentrano sulla gestione della corporazione.

Cosa deve succedere ora?
Una risposta unitaria, come ha fatto l’assemblea dell’Anm milanese. Non è il momento delle divisioni, ma dell’autocritica e della necessità di restituire con immediatezza la rabbia e il disagio dei colleghi. E poi servono cambiamenti, come il ridimensionamento del ruolo dei dirigenti. E non solo. La temporaneità degli incarichi direttivi ha finito per trasformarsi nel grimaldello per la costruzioni di carriere, così come i parametri di accesso alla dirigenza sono diventati medaglie che hanno incentivato il carrierismo. E una magistratura a caccia di poltrone diventa ricattabile.

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